Astronomia News

Accessori per telescopio

 

Strumenti di osservazione

 



In questa sezione ci occuperemo dei telescopi che normalmente vengono utilizzati da astronomi non professionisti ovvero astrofili, amatori ed appassionati in genere.
Parliamo quindi di "piccoli" telescopi che hanno dimensioni ridotte che è possibile trasportare da un punto ad un' altro senza ricorrere ad imageautomezzi per trasporti speciali. Normalmente questi telescopi hanno un diametro dell' obiettivo che va dai 10 cm. ai 40 cm. anche se, ad onor del vero, ne sono stati costruiti alcuni con diametro di 100/120 cm. a costi ancora accessibili ai "comuni mortali" ed utilizzati da alcune associazioni astronomiche. Ovviamente al crescere del diametro dell' obiettivo, cresce il potere risolutivo ed esponenzialmente anche il costo dello strumento.
Per poter utilizzare agevolmente ed efficacemente un telescopio ad uso amatoriale, occorre equipaggiarlo con una serie di accessori che vedremo di seguito. Innanzi tutto, i telescopi devono poter essere puntati con facilità verso qualsiasi punto del cielo. Inoltre, a causa della rotazione terrestre, occorre riposizionare continuamente lo strumento per permettere di mantenere a "fuoco" l' oggetto osservato per lungo tempo e ciò a maggior ragione se si si vogliono fotografare oggetti deboli, che richiedono esposizioni fotografiche molto lunghe. Per quanto detto i telescopi possono essere dotati di un movimento automatico che compensi il movimento apparente della sfera celeste.
Per quanto detto fino ad ora, ne deriva che i telescopi devono essere dotati di opportune montature che permettono il movimento dello strumento attorno a due assi tra loro perpendicolari. Le principali montature attualmente usate sono sostanzialmente di due tipi, la prima detta equatoriale e l' altra altazimutale .


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Nella montatura equatoriale, i due assi sono detti : asse polare e asse di declinazione. L'asse polare viene diretto parallelamente all'asse terrestre, mentre l'altro viene orientato sull'astro in esame. Una volta orientato correttamente l'asse di declinazione, per mantenere l'asse ottico del telescopio puntato sull'oggetto in esame, basta far ruotare il telescopio attorno all'asse polare con la stessa velocità di rotazione della Terra. Vi sono dispositivi a motore che eseguono questo compito e vengono denominati inseguitori. Normalmente per individuare la posizione di un astro, nella volta celeste, vengono fornite le coordinate equatoriali in quanto assolute e non dipendenti dalla posizione geografica dell’ osservatore. In particolare vengono fornite l’ ascensione retta (α) e la declinazione (δ).

  • L' ascensione retta (α) di un astro è la distanza angolare tra il punto d'ariete e l'intersezione del suo cerchio orario con l'equatore celeste; si misura a partire dal punto d'ariete in senso antiorario in gradi (0°, 360°) o equivalentemente in ore ponendo 1h = 15°.
  • La declinazione (δ) di un astro è la sua distanza angolare dall'equatore celeste (da -90° al polo sud, a +90° al polo nord).

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Nella montatura altazimutale, un asse è orizzontale e l'altro è verticale, permettendo un movimento in altezza e in azimut (cioè parallelamente all'orizzonte). Questi telescopi hanno quindi bisogno di due movimenti per poter seguire le stelle, a differenza dei telescopi con montature equatoriali che hanno bisogno di un movimento soltanto. Le coordinate altazimutali (anche dette relative) avendo come punti di riferimento l’ orizzonte ed il meridiano locale, variano da punto a punto con il variare della posizione geografica dell’ osservatore. Sono definite da l' altezza (h) e l’ azimut (a).

  • L' altezza (h) che è la distanza angolare dell'astro dall'orizzonte, e varia tra -90° e+90°.
  • L' azimut (a) che rappresenta la distanza angolare tra il Nord e il piede dell'astro e corrisponde all’angolo tra il meridiano locale e il meridiano passante per l'astro. Viene misurata in senso orario, e varia tra 0° e 360°.

Il puntamento di un telescopio con montatura altazimutale risulta molto più complesso del puntamento di un telescopio equatoriale. Fortunatamente a partire dagli anni settanta lo sviluppo dell'informatica ha reso possibile la progettazione di montature altazimutali di precisione e grazie alla loro maggiore stabilità rispetto a quelle equatoriali è stata possibile la costruzione dei maggiori telescopi oggi a disposizione.

 


il puntamento di un telescopio su un determinato oggetto celeste, risulta molto complicato a causa dell’elevato ingrandimento con cui si osserva. Il campo visivo risulta notevolmente ristretto e l’ orientamento manuale è imagepressoché impossibile. Per ovviare a questo inconveniente viene usato il cercatore.
Si tratta di un piccolo cannocchiale, a basso ingrandimento, posto sullo stesso asse ottico dello strumento principale. Attraverso il cercatore si individua una ampia porzione di cielo in cui è presente l’oggetto da osservare, che potrà essere puntato con precisione all’intersezione della crociera di puntamento visualizzata dal cercatore. E’ un po’ come centrare un bersaglio con un fucile di precisione. Una volta puntato, se il cercatore è ben allineato, l’ oggetto si troverà al centro dell’ ottica principale del telescopio. Ovviamente per allineare perfettamente un cercatore con lo strumento principale, occorre eseguire alla lettera determinate procedure di allineamento che possono variare da modello a modello e che normalmente vengono fornite dal costruttore.
Molti telescopi ormai consentono di evitare la ricerca manuale tramite l’ausilio dei cercatori automatici, spesso computerizzati e dotati di motore, montati alla sommità del treppiede subito sotto il tubo del telescopio.

 


La lente di Barlow è un aggiuntivo ottico telenegativo finalizzato a moltiplicare per un fattore predefinito la focale imageoriginale del telescopio. Prende il nome dal suo ideatore, Peter Barlow. Questa lente ha l'aspetto di un tubetto la cui parte iniziale si inserisce nel porta-oculari del telescopio e la sua parte terminale ospita l'oculare.
La maggior parte delle Barlow ha un fattore di moltiplicazione pari a 2x (ma ce ne sono da 1.7x fino a 5x ), quindi un telescopio cha ha una focale di 1000mm con l’aggiunta della Barlow diviene un 2000mm, per cui otterremmo, a parità di oculare, un ingrandimento doppio.
La lente di Barlow è particolarmente indicata per telescopi rifrattori e riflettori che non hanno una elevata lunghezza focale e per funzionare correttamente, deve essere composta da più lenti, in genere da un doppietto acromatico altrimenti le aberrazioni, soprattutto il cromatismo residuo, danneggiano l’ immagine originaria.

 


Gli appassionati che non si accontentano della semplice osservazione visuale possono fotografare il cielo e gli oggetti celesti utilizzando il telescopio come un obiettivo fotografico. Nella fotografia astronomica, anche detta astrofotografia, regolando opportunamente i tempi di posa, si riescono ad ottenere immagini ad alta risoluzione con dovizia di particolari, cosa che la sola osservazione visuale non riesce ad ottenere. image image
L’ apparecchio fotografico consigliato per questa attività è una fotocamera reflex con ottiche intercambiabili; deve essere dotata di “posa B”, che tiene aperto l’otturatore tutto il tempo voluto. E’ consigliabile usare fotocamere manuali meccaniche, perché di più facile utilizzo e più affidabili alle basse temperature; per il loro funzionamento non hanno bisogno di pile. Sono necessari anche un anello T-2 e un adattatore fotografico per permettere l’innesto della fotocamera sul telescopio.
Le due tecniche principali per la fotografia astronomica sono: fotografia a fuoco diretto e fotografia a fuoco indiretto (per proiezione di oculare). FOTOGRAFIA A FUOCO DIRETTO Questa tecnica si utilizza principalmente per fotografare oggetti poco luminosi o per avere un’immagine completa del Sole e della Luna: non permette ingrandimenti elevati. L’esecuzione è molto semplice: per mezzo di un anello T-2 si accoppia l’apparecchio fotografico all’adattatore fotografico che deve essere inserito nel porta oculari del telescopio. Dopo una accurata messa a fuoco e l’ottimizzazione dell’inquadratura, si è così pronti per scattare la fotografia. FOTOGRAFIA A FUOCO INDIRETTO E’ la tecnica ottimale per la fotografia di pianeti, stelle doppie e particolari di Sole e Luna. Offre degli ingrandimenti decisamente più elevati rispetto alla tecnica precedente. Tra il telescopio e la macchina fotografica viene interposto un oculare; in questo caso si utilizza l’adattatore fotografico per proiezione oculare. Difficilmente si otterranno risultati soddisfacenti con i primi scatti: l’esperienza acquisita con numerosi tentativi iniziali e con prove sui tempi di esposizione porterà a garantire una costanza di risultati.

 


L’occhio umano è capace di accumulare i segnali luminosi solo per un decimo di secondo. Per osservare sorgenti luminose deboli, come le stelle, è utile l’uso di particolari sensori, come speciali pellicole fotografiche o imagedispositivi ad accoppiamento di carica, detti CCD (dall'inglese Charge-Coupled Device). Questi dispositivi oltre che in astronomia vengono usati anche nelle normali fotocamere. La camera CCD appare come una scatoletta con una piccola finestra trasparente, dentro la quale è posizionato il chip CCD. Questo consiste in un mosaico di celle composte di un materiale particolarmente sensibile alla luce: il silicio. Queste celle sono anche chiamate fotodiodi o “pixel” (dall’inglese “picture element” ossia “elemento dell’immagine”), hanno una forma quadrata e dimensioni di qualche millesimo di millimetro. I pixel sono perfettamente allineati in linee e colonne.
Un CCD adatto ai telescopi è di forma quadrata e contiene circa 4.000 pixel per lato, per un totale di 8.000.000 pixel, il tutto contenuto in una piccola scatola che possiamo tenere tra due dita! Ciascun pixel del CCD converte la luce che incide su di esso in particelle chiamate elettroni (grazie alla sensibilità che hanno gli atomi di silicio verso la luce), che saranno tante di più quanto maggiore è questo segnale luminoso. Il CCD contiene dei dispositivi che contano imagequesti elettroni, pixel per pixel. Possiamo concludere che il CCD, basandosi su questi conteggi, determina quali sono i pixel maggiormente impressionati dalla luce (quelli sui quali sono stati contati più elettroni) e quali invece sono stati meno colpiti, fino ai casi estremi in cui il conteggio è stato nullo (in quei pixel che non hanno ricevuto luce durante tutto il tempo di posa).
Questi risultati riprodotti in un monitor definiscono l’immagine. Una telecamera che adotta come sensore il CCD Una camera CCD Il CCD associa il numero 0 ai pixel nei quali non si è contato nessun elettrone e un numero tanto maggiore, quanto più grande è il numero di elettroni conteggiati in tutti gli altri pixel. Il monitor avrà quindi un’informazione distribuita su una griglia di circa 8.000.000 di elementi in ognuno dei quali il CCD ha associato un numero che va da 0 ad un certo numero limite, corrispondente al massimo segnale luminoso che può essere assorbito da un pixel. Il monitor assocerà il colore nero a tutti gli elementi corrispondenti al numero 0 e agli altri un colore grigio che sarà tanto più chiaro quanto più grande è il numero associato al conteggio del relativo pixel. Verrà riprodotta, nell’insieme, l’immagine osservata, in bianco e nero. Praticamente ogni pixel corrisponde ad un granulo della pellicola fotografica, solo che i granuli sono “spalmati” in maniera non uniforme nella pellicola, mentre i pixel sono perfettamente allineati in righe e colonne, dandoci così un’informazione più corretta dell’immagine osservata. Non solo, l’uso del CCD ci permette di rivedere le immagini riprese quasi istantaneamente (come nelle macchine fotografiche digitali o nelle telecamere), mentre per una pellicola fotografica occorre aspettare tutto il tempo necessario per le operazioni di sviluppo.
I CCD vennero introdotti in campo astronomico a partire dagli anni ’80 e regalarono una qualità delle immagini e una comodità nel lavoro che permisero all’Astronomia di fare grandi passi in avanti. Un tempo di posa adatto allo studio delle sorgenti stellari è di qualche minuto, a seconda di quanto luminosa è la sorgente. Ovviamente per sorgenti più luminose è sufficiente un intervallo di posa corto, mentre per le sorgenti particolarmente deboli come le nebulose si può arrivare anche ad un’ora di posa in ogni caso il telescopio deve essere dotato di un inseguitore che consente di tenere l’ oggetto osservato sempre al centro dell’ obiettivo.
Vediamo ora come è possibile riprodotte i colori delle immagini tramite un dispositivo CCD. In ogni colore vi sono molte sorgenti luminose che emettono una luce apparentemente bianca, ma che in realtà è il risultato della somma di tutti i colori, dal blu al rosso. Se questa luce attraversa uno speciale filtro di un particolare colore verranno bloccate tutte le componenti colorate ad eccezione di quella del colore relativo al filtro stesso. Possiamo infatti facilmente sperimentare la diversa apparenza che prende un oggetto se interponiamo tra noi e questo un vetro colorato (che funge approssimativamente da filtro); quello che vediamo sono solo le componenti luminose appartenenti al colore specifico del filtro, tutte le altre sono bloccate dal vetro. Per lo stesso motivo, se viene posto un filtro giallo davanti al CCD, quello che verrà conteggiato e tradotto in segnale video è la sola componente di luce gialla dell’oggetto.Quegli strumenti che usano un sensore CCD e che ci permettono di vedere l’immagine a colori usano un sistema a tre filtri, di colore blu, verde e rosso (mescolando opportunamente questi tre colori, possiamo ottenere anche tutti gli altri dello spettro). Dalla sovrapposizione delle tre immagini viste con i tre differenti filtri si ottiene l’immagine a colori. In Astronomia spesso i telescopi usano un sistema di filtri e CCD che permettono di vedere l’immagine a colori, allo scopo di rendere più evidenti i dettagli dell’oggetto osservato e per riprodurre un’immagine il più vicino possibile a quella che percepiremmo con il nostro occhio, se questo potesse accumulare segnale luminoso come un telescopio.

 


È possibile migliorare i dettagli delle immagini che vediamo utilizzando filtri definiti LPR (Light Pollution Reducers), introdotti per abbattere il più possibile le lunghezze d'onda tipiche delle lampade utilizzate per l'illuminazione pubblica. Per utilizzare un filtro è sufficiente avvitarlo all'oculare prima di infilarlo nel porta oculari (è necessario verificare che l'oculare acquistato sia provvisto di filettatura!). imageAlcuni preferiscono ricorrere alla slitta portafiltri, che evita di dover scambiare i filtri per effettuare prove comparative sull'oggetto osservato; la slitta torna anche utile per la tecnica del blinking, che consiste nel mettere e togliere ripetutamente il filtro dall'oculare per rilevare la presenza di nebulose planetarie molto piccole e deboli e che normalmente rischiano di apparire come semplici stelle. Parliamo quindi di filtri interferenziali OIII (dove O-III sta per Ossigeno terzo, ossia l'ossigeno ionizzato 2 volte, - non 3 volte come si sarebbe portati a credere dal "III" - tipico delle nebulose planetarie a causa della forte emissione ultravioletta della nana bianca presente al suo interno), consigliati per strumenti con diametri a partire da 6 pollici (150mm) in su perché con diametri minori si perde troppo in luminosità.
Sono detti interferenziali in quanto lasciano passare solamente determinate frequenze dello spettro luminoso, proprio quelle legate alle emissioni principali delle nebulose diffuse e della nebulose planetarie, bloccando tutte le lunghezze d'onda tipiche dell'inquinamento luminoso e delle stelle. Il risultato è quello di avere un fondo cielo nero, le nebulose molto contrastate e chiaroscuri più decisi. In altre parole, è un filtro nebulare particolarmente indicato per esaltare il contrasto delle nebulose planetarie e dei residui di supernova.
In genere gli O-III sono molto costosi ed estremamente selettivi (una banda passante molto stretta).
Si potrebbe optare per un filtro UHC che ha una banda passante più larga, lascia passare pressoché il 100% della radiazione sia delle righe O-III che della riga H-beta. Ricordarsi sempre che se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici). Un filtro CLS, decisamente meno costoso, blocca efficacemente le luci emesse dalle illuminazioni cittadine (a base di sodio e mercurio), mentre lascia passare le maggiori linee di emissione degli oggetti del cielo profondo; aumenta quindi la visibilità di tutti gli oggetti del cielo profondo, anche di quelli di natura stellare (galassie ed ammassi) e non solo delle nebulose. Potrebbe essere l'ideale per chi inizia; come per il precedente, se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici).
La stessa attenzione vale infine per un filtro azzurrino, con cui è possibile migliorare non solo la visione planetaria (ad esempio le bande di Giove), ma è altresì possibile esaltare i particolari delle galassie, altrimenti improponibili con la visione diretta. Se poi si desidera osservare la Luna, è meglio acquistare anche un filtro lunare che tagli almeno il 50% della luce riflessa, in modo da non affaticare la vista nell'osservazione dei particolari del nostro satellite. Per osservare il Sole è indispensabile l’ uso dei filtri solari che bloccano la maggior parte della luce solare per evitare danni agli occhi dell'osservatore. Di solito sono fatti da un vetro resistente che ritrasmette solo una piccola percentuale della luce totale. Sono utilizzati per l'osservazione e la fotografia del Sole, che viene visto come un disco di colore giallo-arancio.
Con questi filtri applicati a un telescopio è possibile visualizzare i dettagli del Sole in modo diretto e sicuro, come le macchie solari e la granulazione della superficie. Un altro filtro utilizzato per l'osservazione solare è il filtro di idrogeno-alfa, che trasmette la linea spettrale H-alfa. Questi filtri possono visualizzare i brillamenti solari e le protuberanze, non visibili con i normali filtri solari.

 

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