- Dettagli
- Categoria: astronomia
- Visite: 22290
Le costellazioni |
Le costellazioni sono raggruppamenti di stelle, detti anche asterismi, che caratterizzano, per la loro particolare conformazione, alcuni settori della sfera celeste. Da un punto di vista squisitamente prospettico, le stelle di una costellazione appaiono vicine tra loro ed analogamente alle conformazioni delle nuvole, sembrano disegnare nel cielo notturno figure di fantasia, alle quali sono state attribuiti significati e nomi diversi dalle varie civiltà che hanno abitato il nostro pianeta nel corso millenario dell' osservazione astronomica.
E' noto che l'attuale insieme di costellazioni deriva sostanzialmente dalla prima "uranometria" che l' astronomo tedesco Johann Bayer (1572 – 1625) pubblicò nel 1603. Oltre che a definire un certo numero di costellazioni in regioni di cielo raramente popolato di stelle, Bayer rispolverò alcuni manoscritti dell' XI secolo che, a loro volta, erano trascrizioni di opere classiche antiche riconducibili ad Tolomeo, Ipparco, Eudosso di Cnido ed altri ancora. Molti nomi di costellazioni provenivano dalla mitologia minoica e greca così come i nomi delle stelle più luminose alcuni dei quali erano stati adottati successivamente da popolazioni arabe durante il medio-evo.
Nel 1927, su suggerimento dell' astronomo belga Eugène Joseph Delporte, l' Unione Astronomica Internazionale (IUA) che si occupa della nomenclatura dei corpi celesti, fissò i confini delle moderne 88 costellazioni che coprono interamente la sfera celeste e che possono essere univocamente individuate tramite coordinate astronomiche (ascensione retta e declinazione).
Le costellazioni visibili dall' emisfero boreale sono basate principalmente su quelle della tradizione dell' Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall' emisfero australe sono state invece battezzate in età illuministica ed i loro nomi sono spesso legati ad invenzioni del tempo, come l' Orologio o Microscopio. Alle dodici costellazioni che intersecano l'eclittica e che compongono lo zodiaco ne sono state aggiunte altre 26 (oggi sono 38) in primo luogo per riempire i buchi dei tracciati tolemaici (Tolomeo ne aveva elencate 36) e in secondo luogo per riempire i buchi dell'emisfero meridionale che gli esploratori europei, poterono osservare solo successivamente a seguito di viaggi esplorativi nell’ emisfero meridionale del pianeta.
Le stelle più luminose di una costellazione prendono il nome usando una lettera greca più il genitivo della costellazione in cui si trovano; questa nomenclatura, detta Nomenclatura di Bayer, viene utilizzata per tutte le costellazioni.
Ad esempio la stella più luminosa della costellazione del Toro “Aldebaran” viene denominata come α-Tauri. Un'altra nomenclatura adottata e detta Nomenclatura di Flamsteed che, a differenza di quella di Bayer, al posto della iniziale lettera greca, adotta invece una numerazione progressiva ricavata scansionando la costellazione da Ovest verso Est. Per cui α-Tauri (Bayer) diventa 87-Tauri (Flamsteed) . Per ognuna delle 52 costellazioni nomenclate da Flamsteed , la numerazione ricomincia sempre da 1. Un'altra numerazione che utilizza il genitivo della costellazione è la nomenclatura delle stelle variabili, che procede assegnando lettere, come per RR Lyrae. Le stelle meno luminose seguono altre numerazioni progressive, senza seguire però la divisione in costellazioni.
Nell’ astronomia moderna le costellazioni non anno alcun interesse scientifico, se non quello meramente storico. Ciò è dovuto principalmente a 2 motivi. Il primo è che le stelle che formano una stessa costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e le luminosità apparenti ed assolute. Il secondo motivo è che due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono magari lontanissime ed appartenenti a costellazioni diverse, possono essere al contrario separate da distanze inferiori a quelle che le separano le stelle della propria costellazione.
Lista delle 88 Costellazioni IAU
Costellazioni visibili in Autunno nell' emisfero Boreale
Nome Italiano | Nome Latino | Abbr | Area (°Rad) | % cielo | A.R.(h.m.) | Dec(°) | Interamente visibile | Class.ordine grandezza | N.stelle Mag<3 | N.stelle Mag<65 | Stella Principale |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Andromeda | Andromeda | And | 722.3 | 1.75% | 00 48 | +37 25 | 90°N - 37°S | 19 | 3 | 152 | Alpheratz |
Ariete | Aries | Ari | 441.4 | 1.07% | 02 38 | +20 47 | 90°N - 58°S | 39 | 3 | 86 | Hamal |
Cassiopea | Cassiopeia | Cas | 598.4 | 0.32% | 10 41 | -79 12 | 90°N - 12°S | 25 | 4 | 157 | Shedir |
Cefeo | Cepheus | Cep | 587.8 | 0.92% | 06 49 | -22 08 | 90°N - 1°S | 27 | 1 | 152 | Alderamin |
Cavallino | Equuleus | Equ | 71.6 | 0.17% | 21 11 | +07 45 | 90°N - 77°S | 87 | 0 | 16 | Kitalpha |
Lucertola | Lacerta | Lac | 200.7 | 0.49% | 22 27 | +46 02 | 90°N - 33°S | 68 | 0 | 68 | Lacertae |
Pegaso | Pegasus | Peg | 1120.8 | 2.72% | 22 41 | +19 27 | 90°N - 53°S | 7 | 5 | 177 | Enif |
Pesci | Pisces | Psc | 889.4 | 0.59% | 22 17 | -30 38 | 83°N - 56°S | 14 | 0 | 150 | Alpherg |
Triangolo | Triangulum | Tri | 131.8 | 0.27% | 16 04 | -65 23 | 90°N - 52°S | 79 | 0 | 25 | Trianguli |
- Dettagli
- Categoria: astronomia
- Visite: 1679
Osservare ad occhio nudo
Strumenti di osservazione
Fino all'inizio del XVII secolo, le osservazioni del cielo venivano fatte ad occhio nudo. Le osservazioni astronomiche si limitavano a mappare, con la maggior precisione possibile, le posizioni dei corpi celesti (stelle, costellazioni ed alcuni pianeti) nei vari periodi del giorno del mese e dell’ anno.L’ occhio umano ha però delle grandi limitazioni nell’ osservazione del cielo:
- Permette di stimare la distanza di oggetti vicini, ma non quella degli oggetti lontani come stelle e/o pianeti che appaiono tutti alla stessa distanza.
- Anche gli oggetti più luminosi, posti a notevoli distanze, non vengono più rilevati mentre quelli meno luminosi od opachi non vengono rilevati nemmeno a distanze relativamente minori.
Le nostre pupille variano il proprio diametro a seconda delle condizioni di illuminazione: di giorno hanno un diametro di circa 2 mm e di notte possono raggiungere i 7mm. Tale comportamento si spiega con la maggiore o minore necessità che ha l’ occhio di catturare la luce per ottimizzare la visione degli oggetti. E’ quindi opportuno, prima di iniziare le osservazioni notturne, restare almeno mezz’ora al buio per consentire alla pupille di allargarsi in modo tale da poter catturare più luce possibile. In condizioni ottimali di visibilità, le stelle osservabili ad occhio nudo sono circa 3000 per ogni emisfero, quindi dal nostro pianeta si possono osservare circa 6000 stelle appartenenti tutte alla nostra galassia: la Via Lattea. Le stelle visibili ad occhio nudo furono classificate dall' astronomo greco Tolomeo (anno 100 circa d.C.) con una scala di luminosità , detta magnitudine apparente, compresa tra 1 (per le stelle più luminose) e 6 (per quelle meno luminose). Più che le singole stelle, nella visione ad occhio nudo, è bello ammirare le molteplici combinazioni dette "asterismi o costellazioni" che esse formano nel cielo e un pò come le varie forme che talvolta assumono le nuvole, hanno scatenato la fantasia degli astronomi del passato che le anno identificate con animali, personaggi, oggetti ed altro ancora. Oggi l'Unione Astronomica Internazionale (IAU) divide il cielo in 88 costellazioni ufficiali con confini precisi, di modo che ogni punto della sfera celeste appartenga ad una ed una sola costellazione. Le costellazioni visibili dall' emisfero boreale sono basate principalmente su quelle della tradizione dell'Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall' emisfero australe sono state invece battezzate in età illuministica ed i loro nomi sono spesso legati ad invenzioni del tempo, come l'Orologio o il Microscopio. Oltre alle stelle, nelle notti più buie, si possono anche intravedere la Galassia di Andromeda (emisfero nord) e le due Nubi di Magellano (emisfero sud) che appaiono però come piccoli e deboli aloni chiari nel cielo notturno.Oltre alle stelle, si possono osservare alcuni pianeti del nostro Sistema Solare che ordinati per luminosità decrescente sono: Venere, Giove, Saturno, Marte, Mercurio e Urano. Venere è anche l'astro più luminoso del cielo (dopo il Sole e la Luna) ma, come Mercurio, è visibile soltanto alle prime ore dell' alba e del tramonto, essendo pianeti interni e cioè si trovano tra la Terra e il Sole. Marte si distingue anche per il suo colore rosso-arancio, da cui la denominazione di "Pianeta Rosso". Sempre ad occhio nudo, talvolta, è possibile ammirare rare e splendide comete ed anche stelle cadenti che in certi periodi dell'anno si manifestano numerose dando vita ad uno spettacolo indimenticabile identificato comunemente come "pioggia di stelle cadenti".
- Dettagli
- Categoria: astronomia
- Visite: 1356
Limiti degli strumenti ottici
Strumenti di osservazione
Dal 1600 in poi l’ osservazione degli astri viene eseguita principalmente con strumenti ottici più o meno potenti. Essi consentono d’ ingrandire gli oggetti celesti visibili ad occhio nudo ed dai osservarne di nuovi; quelli che l’ occhio umano non sarebbe mai stato in grado di scorgere. Dai primi rudimentali cannocchiali sino ai moderni telescopi spaziali vi è stato un susseguirsi di nuove scoperte e nuove invenzioni tecnologiche che hanno consentito di esplorare zone remote dell’ universo ed osservare cose che la mente umana non era nemmeno in grado di immaginare. Tuttavia anche i strumenti ottici hanno delle limitazioni che sono dovute principalmente al fenomeno dell’ aberrazione ottica che affligge lenti e specchi usati , in astronomia, per ingrandire gli oggetti celesti. Se i difetti formazione dell’immagine si formano sull’asse ottico si parla di aberrazioni assiali, altrimenti si parla di aberrazioni extra assiali. Ne esistono di diversi tipi, ma qui ricordiamo le aberrazioni più importanti:
ABERRAZIONE SFERICA - è dovuta al fatto che i raggi che incidono su una lente sferica (o su uno specchio) nei pressi del suo centro ottico (raggi parassiali) vengono focalizzati più lontani rispetto a quelli marginali. L'esistenza di infiniti fuochi fra quelli marginali e parassiali provoca una sfocatura dell'immagine. Aumentando la lunghezza focale della lente o dello specchio, l'aberrazione diminuisce. Negli strumenti ha lenti l’aberrazione cromatica e di difficile correzione ed in pratica è sempre presente mentre negli specchi parabolici praticamente è trascurabile.
ABERRAZIONE CROMATICA - è dovuta al fatto che ogni vetro rifrange in modo diverso le diverse lunghezze d'onda che compongono la luce incidente. Ad esempio, le lunghezze d'onda del blu vengono focalizzate prima di quelle del rosso e ciò crea un fastidioso alone iridescente sull'immagine. Gli specchi ne sono esenti, perché riflettono la luce e non la rifrangono. Per ridurre tale aberrazione si usano vetri a bassa dispersione (ED) e/o combinazioni di lenti concave e convesse: le prime, infatti, correggono l'aberrazione positiva e le ultime quella negativa.
COMA - Mentre le due aberrazioni precedenti si verificano lungo l'asse ottico (aberrazioni assiali), il coma si presenta al fuori di esso (aberrazione extra-assiale). E' un'aberrazione simile a quella sferica, ma è dovuta alla diversa focalizzazione dei raggi paralleli che incidono obliquamente su una lente o su uno specchio. Ciò provoca una deformazione dell'immagine, che assume l'aspetto di una cometa (da qui il nome). Il coma è evidente soprattutto nei telescopi riflettori, e in particolar modo in prossimità del bordo del campo.
ASTIGMATISMO - Questa aberrazione extra-assiale può verificarsi anche in asse quando siamo di fronte ad un obiettivo lavorato male. Trasforma una sorgente puntiforme in due linee oblique , l’astigmatismo infatti, si nota quando uno specchio (sferico o parabolico) mostra curvature diverse nelle diverse direzioni. Nei telescopi con ottiche di primo livello, l’astigmatismo si nota prevalentemente su aperture “modeste” e con telescopi a grandi campo, a differenza del coma infatti, l’astigmatismo è proporzionale al diametro dello strumento e al quadrato dell’inclinazione dei raggi ed è dovuto alla diversa distanza a cui focalizzano soggetti perpendicolari all'obiettivo. Per la causa sopra descritta attraversando la posizione di fuoco dall' intra all' extra focale avremo un cambio di asse. Può esservi astigmatismo anche quando le ottiche risultano tensionate o pesantemente scollimate. E' un fenomeno passabile nell'osservazione visuale, molto meno in quella fotografica.
CURVATURA DI CAMPO - Uno strumento ottico è affetto da curvatura di campo quando la sua superficie focale non è prettamente piana ma leggermente emisferica. Questo è un fenomeno intrinseco alla maggioranza degli schemi ottici dei telescopici e degli obiettivi in genere. Per ovviare a questo inconveniente le case costruttrici devono provvedere all’inserimento di un gruppo spianatore di campo lungo il cammino ottico. La curvatura di campo è avvertibile solo in fotografia e si presenta mostrando le immagini stellari sfuocate in prossimità del bordo nonostante che le stelle al centro del campo siano perfettamente a fuoco. Focheggiando a loro volta le immagini al bordo, andranno sfuocandosi le immagini al centro del campo.
DISTORSIONE - è dovuta dalla caratteristica del sistema ottico in uso, che avendo un certo spessore fisico (variabile) si allontana dalla teoria della lente sottile. Fisicamente l'effetto è dovuto alla differente potenza d'ingrandimento delle varie parti del sistema ottico, che in genere varia radialmente rispetto all'asse ottico. Questo è un effetto elusivo, perché anche se l’immagine risulta essere nitida, la sua forma geometrica non è quella reale, rilasciando immagini a “cuscino” o a “barile”.
SEEING
La visibilità degli oggetti , da terra, dipende sensibilmente dalle condizioni climatiche dell’ atmosfera terrestre. A tale proposito è stato definito il seeing (vedendo in inglese) che è un indice del grado di agitazione o turbolenza atmosferica. Se il seeing presenta un buon valore, si possono ottenere immagini tranquille e pulite. La turbolenza atmosferica, infatti, limita il potere risolutivo dei telescopi. Vi sono diversi sistemi di calcolo del seeing che danno diverse gradazioni di visibilità astronomica. Di seguito viene riportata una ta.bella dei valori di seeing usata in Italia:
1 | Immagine ottima |
2 | Immagine buona |
3 | Immagine sufficiente |
4 | Immagine insufficiente |
5 | Immagine cattiva |
6 | Immagine pessima |
Ecco come appare una stella con diversi valori si seeing
Un' ultima considerazione riguarda l’ altitudine dal livello del mare in quanto salendo di quota la visibilità degli astri migliora poiché si riduce lo spessore dello strato atmosferico. Al di sopra dell’ atmosfera terrestre il senning è nullo ed è questo il motivo per il quale oggi vengono messi in orbita telescopi spaziali come Hubble che offrono una qualità delle immagini imparagonabile a quella che si può ottenere da postazioni terrestri.
- Dettagli
- Scritto da MAURO
- Categoria: astronomia
- Visite: 1669
Accessori per telescopio
Strumenti di osservazione
In questa sezione ci occuperemo dei telescopi che normalmente vengono utilizzati da astronomi non professionisti ovvero astrofili, amatori ed appassionati in genere. Parliamo quindi di "piccoli" telescopi che hanno dimensioni ridotte che è possibile trasportare da un punto ad un' altro senza ricorrere ad automezzi per trasporti speciali. Normalmente questi telescopi hanno un diametro dell' obiettivo che va dai 10 cm. ai 40 cm. anche se, ad onor del vero, ne sono stati costruiti alcuni con diametro di 100/120 cm. a costi ancora accessibili ai "comuni mortali" ed utilizzati da alcune associazioni astronomiche. Ovviamente al crescere del diametro dell' obiettivo, cresce il potere risolutivo ed esponenzialmente anche il costo dello strumento. Per poter utilizzare agevolmente ed efficacemente un telescopio ad uso amatoriale, occorre equipaggiarlo con una serie di accessori che vedremo di seguito. Innanzi tutto, i telescopi devono poter essere puntati con facilità verso qualsiasi punto del cielo. Inoltre, a causa della rotazione terrestre, occorre riposizionare continuamente lo strumento per permettere di mantenere a "fuoco" l' oggetto osservato per lungo tempo e ciò a maggior ragione se si si vogliono fotografare oggetti deboli, che richiedono esposizioni fotografiche molto lunghe. Per quanto detto i telescopi possono essere dotati di un movimento automatico che compensi il movimento apparente della sfera celeste. Per quanto detto fino ad ora, ne deriva che i telescopi devono essere dotati di opportune montature che permettono il movimento dello strumento attorno a due assi tra loro perpendicolari. Le principali montature attualmente usate sono sostanzialmente di due tipi, la prima detta equatoriale e l' altra altazimutale .
Nella montatura equatoriale, i due assi sono detti : asse polare e asse di declinazione. L'asse polare viene diretto parallelamente all'asse terrestre, mentre l'altro viene orientato sull'astro in esame. Una volta orientato correttamente l'asse di declinazione, per mantenere l'asse ottico del telescopio puntato sull'oggetto in esame, basta far ruotare il telescopio attorno all'asse polare con la stessa velocità di rotazione della Terra. Vi sono dispositivi a motore che eseguono questo compito e vengono denominati inseguitori. Normalmente per individuare la posizione di un astro, nella volta celeste, vengono fornite le coordinate equatoriali in quanto assolute e non dipendenti dalla posizione geografica dell’ osservatore. In particolare vengono fornite l’ ascensione retta (α) e la declinazione (δ).
- L' ascensione retta (α) di un astro è la distanza angolare tra il punto d'ariete e l'intersezione del suo cerchio orario con l'equatore celeste; si misura a partire dal punto d'ariete in senso antiorario in gradi (0°, 360°) o equivalentemente in ore ponendo 1h = 15°.
- La declinazione (δ) di un astro è la sua distanza angolare dall'equatore celeste (da -90° al polo sud, a +90° al polo nord).
Nella montatura altazimutale, un asse è orizzontale e l'altro è verticale, permettendo un movimento in altezza e in azimut (cioè parallelamente all'orizzonte). Questi telescopi hanno quindi bisogno di due movimenti per poter seguire le stelle, a differenza dei telescopi con montature equatoriali che hanno bisogno di un movimento soltanto. Le coordinate altazimutali (anche dette relative) avendo come punti di riferimento l’ orizzonte ed il meridiano locale, variano da punto a punto con il variare della posizione geografica dell’ osservatore. Sono definite da l' altezza (h) e l’ azimut (a).
- L' altezza (h) che è la distanza angolare dell'astro dall'orizzonte, e varia tra -90° e+90°.
- L' azimut (a) che rappresenta la distanza angolare tra il Nord e il piede dell'astro e corrisponde all’angolo tra il meridiano locale e il meridiano passante per l'astro. Viene misurata in senso orario, e varia tra 0° e 360°.
Il puntamento di un telescopio con montatura altazimutale risulta molto più complesso del puntamento di un telescopio equatoriale. Fortunatamente a partire dagli anni settanta lo sviluppo dell'informatica ha reso possibile la progettazione di montature altazimutali di precisione e grazie alla loro maggiore stabilità rispetto a quelle equatoriali è stata possibile la costruzione dei maggiori telescopi oggi a disposizione.
il puntamento di un telescopio su un determinato oggetto celeste, risulta molto complicato a causa dell’elevato ingrandimento con cui si osserva. Il campo visivo risulta notevolmente ristretto e l’ orientamento manuale è pressoché impossibile. Per ovviare a questo inconveniente viene usato il cercatore. Si tratta di un piccolo cannocchiale, a basso ingrandimento, posto sullo stesso asse ottico dello strumento principale. Attraverso il cercatore si individua una ampia porzione di cielo in cui è presente l’oggetto da osservare, che potrà essere puntato con precisione all’intersezione della crociera di puntamento visualizzata dal cercatore. E’ un po’ come centrare un bersaglio con un fucile di precisione. Una volta puntato, se il cercatore è ben allineato, l’ oggetto si troverà al centro dell’ ottica principale del telescopio. Ovviamente per allineare perfettamente un cercatore con lo strumento principale, occorre eseguire alla lettera determinate procedure di allineamento che possono variare da modello a modello e che normalmente vengono fornite dal costruttore. Molti telescopi ormai consentono di evitare la ricerca manuale tramite l’ausilio dei cercatori automatici, spesso computerizzati e dotati di motore, montati alla sommità del treppiede subito sotto il tubo del telescopio.
La lente di Barlow è un aggiuntivo ottico telenegativo finalizzato a moltiplicare per un fattore predefinito la focale originale del telescopio. Prende il nome dal suo ideatore, Peter Barlow. Questa lente ha l'aspetto di un tubetto la cui parte iniziale si inserisce nel porta-oculari del telescopio e la sua parte terminale ospita l'oculare. La maggior parte delle Barlow ha un fattore di moltiplicazione pari a 2x (ma ce ne sono da 1.7x fino a 5x ), quindi un telescopio cha ha una focale di 1000mm con l’aggiunta della Barlow diviene un 2000mm, per cui otterremmo, a parità di oculare, un ingrandimento doppio. La lente di Barlow è particolarmente indicata per telescopi rifrattori e riflettori che non hanno una elevata lunghezza focale e per funzionare correttamente, deve essere composta da più lenti, in genere da un doppietto acromatico altrimenti le aberrazioni, soprattutto il cromatismo residuo, danneggiano l’ immagine originaria.
Gli appassionati che non si accontentano della semplice osservazione visuale possono fotografare il cielo e gli oggetti celesti utilizzando il telescopio come un obiettivo fotografico. Nella fotografia astronomica, anche detta astrofotografia, regolando opportunamente i tempi di posa, si riescono ad ottenere immagini ad alta risoluzione con dovizia di particolari, cosa che la sola osservazione visuale non riesce ad ottenere. L’ apparecchio fotografico consigliato per questa attività è una fotocamera reflex con ottiche intercambiabili; deve essere dotata di “posa B”, che tiene aperto l’otturatore tutto il tempo voluto. E’ consigliabile usare fotocamere manuali meccaniche, perché di più facile utilizzo e più affidabili alle basse temperature; per il loro funzionamento non hanno bisogno di pile. Sono necessari anche un anello T-2 e un adattatore fotografico per permettere l’innesto della fotocamera sul telescopio. Le due tecniche principali per la fotografia astronomica sono: fotografia a fuoco diretto e fotografia a fuoco indiretto (per proiezione di oculare). FOTOGRAFIA A FUOCO DIRETTO Questa tecnica si utilizza principalmente per fotografare oggetti poco luminosi o per avere un’immagine completa del Sole e della Luna: non permette ingrandimenti elevati. L’esecuzione è molto semplice: per mezzo di un anello T-2 si accoppia l’apparecchio fotografico all’adattatore fotografico che deve essere inserito nel porta oculari del telescopio. Dopo una accurata messa a fuoco e l’ottimizzazione dell’inquadratura, si è così pronti per scattare la fotografia. FOTOGRAFIA A FUOCO INDIRETTO E’ la tecnica ottimale per la fotografia di pianeti, stelle doppie e particolari di Sole e Luna. Offre degli ingrandimenti decisamente più elevati rispetto alla tecnica precedente. Tra il telescopio e la macchina fotografica viene interposto un oculare; in questo caso si utilizza l’adattatore fotografico per proiezione oculare. Difficilmente si otterranno risultati soddisfacenti con i primi scatti: l’esperienza acquisita con numerosi tentativi iniziali e con prove sui tempi di esposizione porterà a garantire una costanza di risultati.
L’occhio umano è capace di accumulare i segnali luminosi solo per un decimo di secondo. Per osservare sorgenti luminose deboli, come le stelle, è utile l’uso di particolari sensori, come speciali pellicole fotografiche o dispositivi ad accoppiamento di carica, detti CCD (dall'inglese Charge-Coupled Device). Questi dispositivi oltre che in astronomia vengono usati anche nelle normali fotocamere. La camera CCD appare come una scatoletta con una piccola finestra trasparente, dentro la quale è posizionato il chip CCD. Questo consiste in un mosaico di celle composte di un materiale particolarmente sensibile alla luce: il silicio. Queste celle sono anche chiamate fotodiodi o “pixel” (dall’inglese “picture element” ossia “elemento dell’immagine”), hanno una forma quadrata e dimensioni di qualche millesimo di millimetro. I pixel sono perfettamente allineati in linee e colonne.Un CCD adatto ai telescopi è di forma quadrata e contiene circa 4.000 pixel per lato, per un totale di 8.000.000 pixel, il tutto contenuto in una piccola scatola che possiamo tenere tra due dita! Ciascun pixel del CCD converte la luce che incide su di esso in particelle chiamate elettroni (grazie alla sensibilità che hanno gli atomi di silicio verso la luce), che saranno tante di più quanto maggiore è questo segnale luminoso. Il CCD contiene dei dispositivi che contano questi elettroni, pixel per pixel. Possiamo concludere che il CCD, basandosi su questi conteggi, determina quali sono i pixel maggiormente impressionati dalla luce (quelli sui quali sono stati contati più elettroni) e quali invece sono stati meno colpiti, fino ai casi estremi in cui il conteggio è stato nullo (in quei pixel che non hanno ricevuto luce durante tutto il tempo di posa).Questi risultati riprodotti in un monitor definiscono l’immagine. Una telecamera che adotta come sensore il CCD Una camera CCD Il CCD associa il numero 0 ai pixel nei quali non si è contato nessun elettrone e un numero tanto maggiore, quanto più grande è il numero di elettroni conteggiati in tutti gli altri pixel. Il monitor avrà quindi un’informazione distribuita su una griglia di circa 8.000.000 di elementi in ognuno dei quali il CCD ha associato un numero che va da 0 ad un certo numero limite, corrispondente al massimo segnale luminoso che può essere assorbito da un pixel. Il monitor assocerà il colore nero a tutti gli elementi corrispondenti al numero 0 e agli altri un colore grigio che sarà tanto più chiaro quanto più grande è il numero associato al conteggio del relativo pixel. Verrà riprodotta, nell’insieme, l’immagine osservata, in bianco e nero. Praticamente ogni pixel corrisponde ad un granulo della pellicola fotografica, solo che i granuli sono “spalmati” in maniera non uniforme nella pellicola, mentre i pixel sono perfettamente allineati in righe e colonne, dandoci così un’informazione più corretta dell’immagine osservata. Non solo, l’uso del CCD ci permette di rivedere le immagini riprese quasi istantaneamente (come nelle macchine fotografiche digitali o nelle telecamere), mentre per una pellicola fotografica occorre aspettare tutto il tempo necessario per le operazioni di sviluppo.I CCD vennero introdotti in campo astronomico a partire dagli anni ’80 e regalarono una qualità delle immagini e una comodità nel lavoro che permisero all’Astronomia di fare grandi passi in avanti. Un tempo di posa adatto allo studio delle sorgenti stellari è di qualche minuto, a seconda di quanto luminosa è la sorgente. Ovviamente per sorgenti più luminose è sufficiente un intervallo di posa corto, mentre per le sorgenti particolarmente deboli come le nebulose si può arrivare anche ad un’ora di posa in ogni caso il telescopio deve essere dotato di un inseguitore che consente di tenere l’ oggetto osservato sempre al centro dell’ obiettivo.Vediamo ora come è possibile riprodotte i colori delle immagini tramite un dispositivo CCD. In ogni colore vi sono molte sorgenti luminose che emettono una luce apparentemente bianca, ma che in realtà è il risultato della somma di tutti i colori, dal blu al rosso. Se questa luce attraversa uno speciale filtro di un particolare colore verranno bloccate tutte le componenti colorate ad eccezione di quella del colore relativo al filtro stesso. Possiamo infatti facilmente sperimentare la diversa apparenza che prende un oggetto se interponiamo tra noi e questo un vetro colorato (che funge approssimativamente da filtro); quello che vediamo sono solo le componenti luminose appartenenti al colore specifico del filtro, tutte le altre sono bloccate dal vetro. Per lo stesso motivo, se viene posto un filtro giallo davanti al CCD, quello che verrà conteggiato e tradotto in segnale video è la sola componente di luce gialla dell’oggetto.Quegli strumenti che usano un sensore CCD e che ci permettono di vedere l’immagine a colori usano un sistema a tre filtri, di colore blu, verde e rosso (mescolando opportunamente questi tre colori, possiamo ottenere anche tutti gli altri dello spettro). Dalla sovrapposizione delle tre immagini viste con i tre differenti filtri si ottiene l’immagine a colori. In Astronomia spesso i telescopi usano un sistema di filtri e CCD che permettono di vedere l’immagine a colori, allo scopo di rendere più evidenti i dettagli dell’oggetto osservato e per riprodurre un’immagine il più vicino possibile a quella che percepiremmo con il nostro occhio, se questo potesse accumulare segnale luminoso come un telescopio.
È possibile migliorare i dettagli delle immagini che vediamo utilizzando filtri definiti LPR (Light Pollution Reducers), introdotti per abbattere il più possibile le lunghezze d'onda tipiche delle lampade utilizzate per l'illuminazione pubblica. Per utilizzare un filtro è sufficiente avvitarlo all'oculare prima di infilarlo nel porta oculari (è necessario verificare che l'oculare acquistato sia provvisto di filettatura!). Alcuni preferiscono ricorrere alla slitta portafiltri, che evita di dover scambiare i filtri per effettuare prove comparative sull'oggetto osservato; la slitta torna anche utile per la tecnica del blinking, che consiste nel mettere e togliere ripetutamente il filtro dall'oculare per rilevare la presenza di nebulose planetarie molto piccole e deboli e che normalmente rischiano di apparire come semplici stelle. Parliamo quindi di filtri interferenziali OIII (dove O-III sta per Ossigeno terzo, ossia l'ossigeno ionizzato 2 volte, - non 3 volte come si sarebbe portati a credere dal "III" - tipico delle nebulose planetarie a causa della forte emissione ultravioletta della nana bianca presente al suo interno), consigliati per strumenti con diametri a partire da 6 pollici (150mm) in su perché con diametri minori si perde troppo in luminosità. Sono detti interferenziali in quanto lasciano passare solamente determinate frequenze dello spettro luminoso, proprio quelle legate alle emissioni principali delle nebulose diffuse e della nebulose planetarie, bloccando tutte le lunghezze d'onda tipiche dell'inquinamento luminoso e delle stelle. Il risultato è quello di avere un fondo cielo nero, le nebulose molto contrastate e chiaroscuri più decisi. In altre parole, è un filtro nebulare particolarmente indicato per esaltare il contrasto delle nebulose planetarie e dei residui di supernova. In genere gli O-III sono molto costosi ed estremamente selettivi (una banda passante molto stretta). Si potrebbe optare per un filtro UHC che ha una banda passante più larga, lascia passare pressoché il 100% della radiazione sia delle righe O-III che della riga H-beta. Ricordarsi sempre che se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici). Un filtro CLS, decisamente meno costoso, blocca efficacemente le luci emesse dalle illuminazioni cittadine (a base di sodio e mercurio), mentre lascia passare le maggiori linee di emissione degli oggetti del cielo profondo; aumenta quindi la visibilità di tutti gli oggetti del cielo profondo, anche di quelli di natura stellare (galassie ed ammassi) e non solo delle nebulose. Potrebbe essere l'ideale per chi inizia; come per il precedente, se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici). La stessa attenzione vale infine per un filtro azzurrino, con cui è possibile migliorare non solo la visione planetaria (ad esempio le bande di Giove), ma è altresì possibile esaltare i particolari delle galassie, altrimenti improponibili con la visione diretta. Se poi si desidera osservare la Luna, è meglio acquistare anche un filtro lunare che tagli almeno il 50% della luce riflessa, in modo da non affaticare la vista nell'osservazione dei particolari del nostro satellite. Per osservare il Sole è indispensabile l’ uso dei filtri solari che bloccano la maggior parte della luce solare per evitare danni agli occhi dell'osservatore. Di solito sono fatti da un vetro resistente che ritrasmette solo una piccola percentuale della luce totale. Sono utilizzati per l'osservazione e la fotografia del Sole, che viene visto come un disco di colore giallo-arancio. Con questi filtri applicati a un telescopio è possibile visualizzare i dettagli del Sole in modo diretto e sicuro, come le macchie solari e la granulazione della superficie. Un altro filtro utilizzato per l'osservazione solare è il filtro di idrogeno-alfa, che trasmette la linea spettrale H-alfa. Questi filtri possono visualizzare i brillamenti solari e le protuberanze, non visibili con i normali filtri solari.
- Scritto da MAURO
- Categoria: astronomia
- Visite: 1714
Osservazione con il telescopio
Strumenti di osservazione
In questa sezione ci occuperemo dei telescopi normalmente usati da astrofili, amatori e appassionati in genere. Parliamo di "piccoli" telescopi che hanno dimensioni ridotte e che quindi sono facilmente trasportabili. La principale caratteristica che li contraddistingue riguarda la composizione della loro lente principale detta "lente obiettivo" in base alla quale si distinguono in due principali categorie : rifrattori e riflettori. Tra queste due tipologie vi sono evidenti differenze costruttive anche se le prestazioni sono abbastanza simili. La principale differenza consiste nel fatto che, nei telescopi rifrattori, la lente obiettivo è costituita da lenti in materiale vetroso, mentre nei telescopi riflettori è costituita da uno specchio opportunamente trattato.
Telescopi rifrattori
I rifrattori sono i primi telescopi ad essere stati inventati; hanno l'aspetto tipico dei cannocchiali, ossia un lungo tubo che si allarga progressivamente partendo dall'oculare fino all'apertura. Sull'estremità frontale è disposto un doppietto, formato da due vetri ottici (lenti) opportunamente lavorati, chiamato obiettivo, che ha la funzione di raccogliere e di focalizzare la luce. L'obiettivo svolge sostanzialmente la funzione di prisma: scompone e ricompone la radiazione luminosa in un determinato punto chiamato fuoco posto sul piano ottico dello strumento ad una distanza F detta lunghezza focale strumentale (F). L’ immagine che ne deriva è una immagine reale piccola e capovolta, che per poter essere osservata dovrà essere ingrandita come vedremo da una particolare lente detta oculare. I parametri fondamentali della lente obiettivo sono:
- Il diametro o apertura dello strumento. Indica la capacità di raccolta della luce (cioè l'aumento della luminosità) e il potere risolutivo. Maggiore è il diametro dell'obiettivo, maggiore è la quantità di luce raccolta con una relazione direttamente proporzionale al quadrato della superficie secondo la formula Q = D², dove Q è la quantità di luce raccolta e D è il diametro. Un obiettivo con diametro doppio rispetto ad un altro ha quindi un potere di raccolta luminosa quattro volte superiore.
- Il potere risolutivo. Dalla dimensione del diametro dell’ obbiettivo dipende direttamente anche il potere risolutivo, che è la capacità di separazione angolare, ovvero la capacità di distinguere come separati dei punti tra loro vicini. Il potere risolutivo teorico aumenta all'aumentare del diametro, anche se è da rilevare che le condizioni atmosferiche (in particolare il seeing) possono abbassare, anche sensibilmente, la risoluzione di cui sono capaci gli strumenti oltre un certo diametro (in genere, dai 150 mm in su). Il potere risolutivo è una misura angolare, normalmente espressa in secondi d' arco, e più è piccola più piccoli sono i dettagli che è possibile distinguere. Il massimo di separazione angolare teorica di uno strumento, è approssimato dalla formula S = 120/D , dove “S” è la misura angolare in secondi d'arco dei particolari separabili e “D” è il diametro dell'obiettivo in millimetri.
- La lunghezza focale. Indica la distanza del fuoco dall'obiettivo, e determina anche il rapporto focale, ovvero la luminosità intrinseca del telescopio. Il rapporto focale è dato dal rapporto tra la lunghezza focale dell’ obiettivo ed il suo diametro secondo la formula F = f /D, dove F è il rapporto focale, f la lunghezza focale e D il diametro dell'obiettivo. Questo rapporto, comunemente definito luminosità, è un parametro assoluto che caratterizza il sistema ottico. Minore è il rapporto focale e maggiore è la luminosità dello strumento. Di contro però un basso rapporto focale determina anche alcuni problemi di natura ottica come quelli della coma e di altre aberrazioni in questo caso è necessaria l'applicazione di costose tecniche di correzione.
L' oculare ha principalmente lo scopo di ingrandir>L’ oculare ha principalmente lo scopo di ingrandire l’ immagine creata dall’ obiettivo nel punto focale. I parametri fondamentali della lente oculare sono:
- La sua lunghezza focale. Ogni oculare ha una propria lunghezza focale, come l'obiettivo del telescopio. La combinazione di un oculare con una determinata lunghezza focale ad un obiettivo con la propria lunghezza focale determina l'ingrandimento complessivo del sistema, secondo la relazione I = f’/ f’’ , dove I è l'ingrandimento, f’ è la focale dell'obiettivo e f’’ è la focale dell'oculare. Diminuendo la focale dell'oculare aumentano gli ingrandimenti ottenuti e perciò l'ingrandimento non dipende dal diametro dell'obiettivo, ma solo dalla sua lunghezza focale. In realtà esiste un limite fisico al massimo ingrandimento realmente utilizzabile perché aumentando la scala a cui viene vista l'immagine fornita dall'obiettivo, questa si fa via via meno luminosa e meno nitida.
- L'estrazione pupillare o pupilla d’ uscita. Rappresenta la distanza alla quale deve essere posto l'occhio dell'osservatore dall'oculare per vedere l'intero campo di vista a fuoco. Dipende dalle caratteristiche costruttive dell'oculare stesso, ed è direttamente proporzionale alla sua lunghezza focale, per cui si riduce al crescere degli ingrandimenti totali.
- Il campo di vista. Esistono due concetti legati tra loro, ovvero il campo reale ed il campo apparente. Il campo reale è la dimensione angolare della porzione di cielo visibile nell'oculare applicato al telescopio. Il campo apparente è invece il diametro angolare, in gradi, del cerchio di luce visibile dall'occhio, ed è fissato dalle caratteristiche costruttive dell'oculare stesso, indipendentemente dal campo reale. Il tubo ottico, oltre ad assolvere alla funzione di sostegno dell'obiettivo e dell'oculare evita, dal momento che è chiuso ai due lati, che si verifichi il degrado dell'immagine dovuto ai moti interni dell'aria.
Durante le osservazioni la posizione del piano focale rispetto all'obiettivo può cambiare per effetto di fenomeni di dilatazione termica. Per ovviare a questo inconveniente tra oculare e punto focale viene interposto un focheggiatore costituito da due tubi di ottone che scorrono l'uno dentro l'altro. Il tubo esterno è fissato al telescopio, quello interno all’ oculare. Lo scorrimento del tubo interno rispetto all'altro, regolato da una cremagliera, consente di facilitare la messa a fuoco dell'immagine. Un grave problema che affligge telescopi rifrattori, ed in diversa misura tutti i sistemi ottici a lenti, è l’aberrazione cromatica. Si tratta di un difetto nella formazione dell'immagine dovuta al diverso valore di rifrazione delle diverse lunghezze d'onda che compongono la luce che attraversa un mezzo ottico. Questo si traduce in immagini che presentano ai bordi degli aloni colorati. L’inconveniente si riduce notevolmente usando lenti costituite da più materiali ognuno con diversa dispersione, in modo che le differenze tra gli angoli di rifrazione per la stessa lunghezza d'onda si annullino reciprocamente. Un sistema molto usato è il doppietto acromatico costituito da vetro Flint e Crown. I telescopi rifrattori forniscono immagini di alta qualità, ma risultano essere molto costosi e pure abbastanza ingombranti, motivo per cui i modelli più diffusi sono di dimensioni relativamente ridotte; in genere se si desidera avere un'elevata capacità di risoluzione, ossia un maggiore ingrandimento, ci si orienta maggiormente sui telescopi riflettori. I telescopi rifrattori sono l'ideale per l'osservazione dei pianeti: la grande nitidezza caratteristica delle osservazioni condotte col rifrattore permette di osservare molti dettagli dell'atmosfera dei giganti gassosi come Giove e Saturno, nonché varie sfumature visibili sulla Luna e sulla superficie del pianeta Marte. Mediamente un telescopio rifrattore con un 'apertura di 90-100mm di diametro (i modelli più diffusi) consentono di individuare stelle fino alla magnitudine apparente 11, consentendo così di risolvere in singole stelle una buona parte degli ammassi aperti e di riconoscere alcuni particolari delle nebulose più brillanti. Gli ammassi globulari invece continuano ad apparire nebulosi e apparentemente privi di stelle.
Telescopi riflettori
Il telescopio riflettore raccoglie la luce per mezzo di uno specchio parabolico fissato all'estremità opposta all'apertura, concentrandola sul fuoco della parabola, dove viene riflessa da un secondo specchio e indirizzata verso l'oculare. Questo tipo di telescopio è molto meno costoso del precedente e può essere costruito con molta più facilità, al punto che molti astrofili esperti si costruiscono da soli il loro telescopio su misura. A causa della grande potenza che questi strumenti possono raggiungere, che ha come conseguenza il fatto che si può osservare un piccolo campo molto ingrandito, sopra il tubo sono spesso montati dei "cercatori", consistenti in una sorta di cannocchiale a basso ingrandimento, che consente di rintracciare un oggetto nel cielo prendendo come riferimento l’ oggetto stesso, se facilmente visibile, o un altro oggetto vicino più visibile. La configurazione più diffusa, nei telescopi riflettori, è quella detta Newtoniana (immagine sotto); consiste in uno specchio primario parabolico che concentra il fascio ottico in un punto focale posto sullo stesso asse ottico dello strumento. Poco prima del fuoco è posto un secondo specchio ellittico (piano), inclinato di 45 gradi, che devia il fascio ottico a lato del tubo di supporto, dove è posizionato il focheggiatore, che serve per regolare l'oculare, che vi si inserisce all'interno. Lo specchio secondario è mantenuto al centro del fascio ottico da una struttura a raggi denominata in gergo crociera o spider (ragno), il quale deve essere il meno intrusivo possibile per non causare luci diffuse. Esistono telescopi a configurazione newtoniana di svariate dimensioni, dai più piccoli 90mm (un classico modello fra i più diffusi è il 114mm) fino ai 300mm ed oltre; fra gli oculari più diffusi vi sono quelli a 25x e 38x. Una diversa configurazione è quella dello Schmidt-Cassegrain (immagine sotto), che a differenza del precedente contiene uno specchio primario forato al centro; la luce viene sempre concentrata su un secondo specchio posto al centro del tubo, che però non è disposto a 45° (come nel Newtoniano) ma è perpendicolare alla lunghezza del tubo stesso, riflettendo così la luce verso il foro dello specchio primario, dove si trovano il focheggiatore e l'oculare. Davanti all'apertura è posta una lastra di Schmidt di correzione. La configurazione Schmidt-Cassegrain consente di aumentare la lunghezza focale e contemporaneamente ridurre ulteriormente la lunghezza del tubo, cosicché anche strumenti molto potenti posseggano dimensioni relativamente contenute. Un telescopio Schmidt-Cassegrain ha lo svantaggio della curvatura di campo e perciò non si presta ad applicazioni fotografiche in quanto le foto appariranno sfocate lungo i margini. La altre aberrazioni sono così ridotte che restano limitate ai dischi di diffrazione e non danno nell'occhio. Sono molto apprezzati dagli astrofili perché compatti e facili da trasportare.
Esistono anche alcune varianti di questi due sistemi principali. La possibilità di osservazione varia molto a seconda del modello utilizzato. Con i modelli più classici per gli astrofili alle prime armi, come gli 80mm o i 114mm, si possono osservare senza alcuna difficoltà gli anelli di Saturno o, con un oculare potente, la famosa Macchia Rossa sulla superficie di Giove; la magnitudine limite per questo tipo di strumenti generalmente è la 12 o la 13, che consente di risolvere in stelle la gran parte degli ammassi aperti conosciuti e di intravedere qualche componente stellare degli ammassi globulari più luminosi. Tramite la visione distolta si possono inoltre osservare un discreto numero di nebulose, che comunque appaiono molto più in risalto nelle fotografie a lunga posa. Strumenti maggiori (150-200mm) permettono di rilevare stelle fino alla quattordicesima magnitudine; strumenti così potenti (ed anche di più) sono però sconsigliabili per chi inizia appena a riconoscere stelle e costellazioni, dato che sono pensati e utilizzati da astrofili con una certa esperienza.Nei telescopi a riflessione per lo specchio primario viene utilizzato un vetro speciale, definito ottico in quanto deve risponde ad alcuni requisiti fondamentali come facilità di lavorazione, bassissimo coefficiente di dilatazione termica, omogeneità e purezza dell' impasto. La superficie del vetro, viene prima levigata a forma di una figura geometrica approssimabile alla parabola o all'iperbole a seconda delle esigenze, e successivamente vi viene depositato, tramite un particolare procedimento denominato alluminatura e praticato in camere a vuoto spinto, un sottilissimo strato di alluminio che lo rende riflettente ed idoneo a raccogliere la radiazione luminosa. Costruttivamente lo specchio può essere realizzato monoblocco (unico blocco di vetro) oppure a nido d'ape ovvero un mosaico di vetri singoli al fine di alleggerire ed irrobustire il pezzo e rendere minimo il tempo di attesa per la stabilizzazione termica.Lo sviluppo dei telescopi moderni, si è basato in gran parte sulla computerizzazione dei movimenti e sul controllo delle deformazioni delle parti ottiche e meccaniche. I primi specchi erano di metallo e quindi cambiavano facilmente di dimensioni per effetto della dilatazione termica. Ovviamente, anche la focale, e quindi l'ingrandimento, cambiava notevolmente e anche imprevedibilmente. Solo nel 1865, con l'invenzione del procedimento chimico di J. von Liebig per metallizzare il vetro, si costruirono i primi specchi di vetro metallizzati. Successivamente, in anni relativamente recenti, gli specchi vennero ricoperti di una sottile pellicola metallica riflettente mediante i procedimenti di evaporazione del metallo sotto vuoto. Per diverso tempo il miglior materiale per la costruzione dei vetri fu il quarzo e il pyrex; attualmente si usano tre tipi di materiali per i quali il coefficiente di dilatazione termica è tanto basso da potersi considerare praticamente nullo: l'ULE (Ultra Low Expansion), il CerVit (Ceramica Vetrificata) e lo Zerodur, con cui sono stati costruiti i 4 specchi da 8,2 m di diametro ciascuno del Very Large Telescope, il grandissimo telescopio europeo (VLT, http://www.eso.org), e anche lo specchio da 3.58 metri del Telescopio Nazionale Galileo, il maggiore telescopio italiano, situato alle Canarie (TNG, http://www.tng.iac.es). Le dimensioni raggiunte dagli specchi principali dei telescopi sono probabilmente al limite delle possibilità tecnologiche attuali, anche se sono stati proposti specchi di 25 m. di diametro. Il costo di un tale specchio sarebbe però proibitivo. L'alternativa alla costruzione di un unico specchio di 25 m. lavorato alla perfezione ottica consiste nell'utilizzare una serie di specchi più piccoli.
Ecco una lista dei più gradi telescopi riflettori del mondo :
Nome | Diametro | Tipo di specchio | Nazionalità | Osservatorio | Anno di costruzione |
Large Binocular Telescope (LBT) | 2×8,4 = 11,8 m | 2 singoli | USA Italia Germania | Osservatorio internazionale del monte Graham (Arizona) | 2007 |
Gran Telescopio Canarias (GTC) | 10,4 m | Mosaico | Spagna Messico USA | Osservatorio del Roque de Los Muchachos Isole (Canarie) | 2006 |
Keck 1 | 10 m | Mosaico | USA | Osservatorio di Mauna Kea (Hawaii) | 1993 |
Keck 2 | 10 m | Mosaico | USA | Osservatorio di Mauna Kea (Hawaii) | 1996 |
Southern African Large Telescope (SALT) | 9,5 m | Mosaico | Sudafrica USA UK Germania Polonia Nuova-Zelanda | Osservatorio Astronomico del Sudafrica (Sudafrica) | 2005 |
Hobby-Eberly Telescope (HET) | 9,2 m | Mosaico | USA Germania | Osservatorio McDonald (Texas) | 1997 |
Subaru (NLT) | 8,3 m | Singolo | Giappone | Osservatorio di Mauna Kea (Hawaii) | 1999 |
VLT 1 (Antu) | 8,2 m | Singolo | Paesi ESO + Cile | Osservatorio del Paranal (Cile) | 1998 |
VLT 2 (Kueyen) | 8,2 m | Singolo | Paesi ESO + Cile | Osservatorio del Paranal (Cile) | 1999 |
VLT 3 (Melipal) | 8,2 m | Singolo | Paesi ESO + Cile | Osservatorio del Paranal (Cile) | 2000 |
VLT 4 (Yepun) | 8,2 m | Singolo | Paesi ESO + Cile | Osservatorio del Paranal (Cile) | 2001 |
Gemini North | 8,1 m | Singolo | USA UK Canada Cile Australia Argentina Brasile | Osservatorio di Mauna Kea (Hawaii) | 1999 |
Gemini South | 8,1 m | Singolo | USA UK Canada Cile Australia Argentina Brasile | Cerro Pachón (Cile) | 2001 |
Multiple/Magnum Mirror Telescope (MMT) | 6,5 m | Prima a sei 6 unità, poi convertito a specchio singolo | USA | Osservatorio Fred Lawrence Whipple (Arizona) | 1987 2002 |
Magellan 1 (Walter Baade) | 6,5 m | Singolo | USA | Osservatorio di Las Campanas (Cile) | 2000 |
Magellan 2 (Landon Clay) | 6,5 m | Singolo | USA | Osservatorio di Las Campanas (Cile) | 2002 |
BTA-6 | 6 m | Singolo | Russia | Zelenchukskaya Caucaso | 1976 |
Large Zenith Telescope (LZT) | 6 m | Singolo | Canada, Francia | Maple Ridge (Columbia Britannica) | 2003 |
Hale Telescope | 5 m | Singolo | USA | Osservatorio di Monte Palomar (California) | 1948 |
William Herschel Telescope | 4,2 m | Singolo | UK Paesi Bassi Spagna | Osservatorio del Roque de Los Muchachos (Isole Canarie) | 1987 |
SOAR | 4,2 m | Singolo | USA,Brasile | Cerro Pachón (Cile) | 2002 |