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Costellazione Acquario - Aquarius (Aqr)
| Constellation Map, by IAU and Sky&Telescope magazine |
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Costellazioni confinanti:
- Pisces, Pegasus, Equuleus, Delphinus, Aquila, Capricornus, Piscis Austrinus, Sculptor, Cetus
Stelle principali :
- α (alfa) Aquarii (Sadalrmelik), mag. 3.0, ha praticamente lo stesso spettro del Sole, è una supergigante gialla distante circa 523 a.l.
- β (beta) Aqr (Sadalsuud), mag. 2.9 è la più brillante della costellazione, e presenta anch'essa uno spettro simile a quello del Sole (è solo un po' più calda), è 2000 volte più brillante della nostra Stella. è una supergigante gialla distante circa 537 a.l.
- γ (gamma) Aqr (Sadachbia), mag. 3.8, è una stella bianca distante circa 163 a.l.
- δ (delta) Aqr, (Skat) mag. 3.3, è una gigante bianca lontana circa 160 a.l.
- υ (upsilon) Aqr (Albali), mag. 3.8, è una stella bianca distante circa 207 a.l.
- ζ (zeta) Aqr, distante circa 92 a.l., è una famosa binaria costituita da due stelle bianche di magnitudine 4.5 e 4.3 orbitanti l’una intorno all’altra con un periodo di 856 anni fu studiata per la prima volta da W. Herschel nel 1779 e che da allora stata costantemente seguita.. Attualmente le due stelle si trovano alla loro distanza minima, vista dalla Terra, e per la loro risoluzione è necessaria un’apertura di almeno 75 mm con un forte ingrandimento. La separazione è attualmente inferiore a 2 secondi d'arco e può essere quindi usata sia per sondare la bontà delle ottiche dei piccoli strumenti amatoriali, sia quella del seeing, ossia il grado di turbolenza atmosferica. Non dimentichiamo, infatti, che 1 secondo d'arco è un valore piccolissimo misurato sulla volta celeste: corrisponde più o meno all'angolo sotteso da una moneta da 1 euro vista alla distanza di quasi 5 chilometri! Riuscire quindi a sdoppiare la ζ(zeta) Aquarii in condizioni di cielo medie non è poi così facile come potrebbe sembrare.
- Le stelle γ, ζ, ε e π Aquarii formano un asterismo chiamato Urna, che rappresenta la brocca piena d'acqua dell'Acquario.
Oggetti notevoli:
- M 73 un ammasso aperto.
- M 2 (NGC 7089) è un ammasso globulare facilmente visibile con un binocolo o un piccolo telescopio, ma richiede un’apertura di 250 mm per essere risolto nelle singole stelle. M 2 è un ammasso globulare ricco e altamente concentrato, distante 50,000 a.l.
- M 72 (NGC 6981) vicino ε(epsilon) e Nu Aquarii, è un ammasso globulare distante 60,000 a.l., molto più piccolo e meno brillante di M 2. È troppo debole per poterlo vedere con un binocolo.
- NGC 7009, distante 1450 a.l., è una famosa nebulosa planetaria nota come Nebulosa Saturno per la sua somiglianza con questo pianeta, se osservata con un grande telescopio. Nella maggior parte dei telescopi per dilettanti, con apertura di almeno 75 mm, appare come una ellisse verde-azzurra di 8° magnitudine. La sua stella centrale è di 12° magnitudine.
- NGC 7293 la Helix Nebula, distante 690 a.l., è la nebulosa planetaria più vicina al Sole ed è comunemente nota col nome di Nebulosa a elica. È la nebulosa planetaria con la massima grandezza apparente, coprendo 0.25° di cielo, metà della grandezza apparente della Luna. Nonostante le sue dimensioni, la Nebulosa a elica è molto debole e la si può vedere meglio con un binocolo o un telescopio a basso ingrandimento; in tal caso, appare come una macchia nebbiosa circolare, non molto impressionante come sembrerebbero suggerire le sue dimensioni.
- NGC 7727 galassia a spirale visibile con piccoli strumenti.
Note: Costellazione zodiacale con stelle non particolarmente brillanti le sue stelle più luminose sono appena di terza grandezza, posta tra il più luminoso Capricorno e la più debole Balena. Sicuramente una delle costellazioni più note e antiche, venne disegnata dagli antichi Babilonesi, era chiamata dai greci Hydrochos e dai romani Aquarius, parole che hanno lo stesso significato, perché in questa plaga si vide un uomo che versava acqua verso la bocca del sottostante Pesce Australe. che videro in questa costellazione una figura di un uomo che reggeva un'anfora. Il Sole entra nella costellazione dell'acquario durante la metà di febbraio fino alla prima metà di marzo, in questo periodo sono comuni i diluvi e comunque è un periodo sicuramente molto piovoso, forse anche per questo si è cercato un associazione con una costellazione che avesse a che fare con l'acqua. È facile individuarla perché osservando grosso modo a meta strada tra l'orizzonte e lo zenit salta subito aghi occhi il caratteristico asterismo formato da 4 stelle all'incirca della stessa luminosità poste a triangolo con una stella nel mezzo; a molti richiama alla mente lo stemma di una Mercedes. Questo quartetto è situato presso il bordo settentrionale della costellazione che da lì si estende per parecchi gradi nelle tre altre direzioni del cielo.
Mitologia: Stanco dei misfatti commessi dagli uomini, Zeus decise di punire l'umanità con un diluvio; a tal fine diede vita ad Acquario, gigante muscoloso al quale venne consegnata un' enorme urna piena d'acqua da rovesciare sulla Terra.
Non vi sono stelle di particolare interesse.
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Le costellazioni |
Le costellazioni sono raggruppamenti di stelle, detti anche asterismi, che caratterizzano, per la loro particolare conformazione, alcuni settori della sfera celeste. Da un punto di vista squisitamente prospettico, le stelle di una costellazione appaiono vicine tra loro ed analogamente alle conformazioni delle nuvole, sembrano disegnare nel cielo notturno figure di fantasia, alle quali sono state attribuiti significati e nomi diversi dalle varie civiltà che hanno abitato il nostro pianeta nel corso millenario dell' osservazione astronomica.
E' noto che l'attuale insieme di costellazioni deriva sostanzialmente dalla prima "uranometria" che l' astronomo tedesco Johann Bayer (1572 – 1625) pubblicò nel 1603. Oltre che a definire un certo numero di costellazioni in regioni di cielo raramente popolato di stelle, Bayer rispolverò alcuni manoscritti dell' XI secolo che, a loro volta, erano trascrizioni di opere classiche antiche riconducibili ad Tolomeo, Ipparco, Eudosso di Cnido ed altri ancora. Molti nomi di costellazioni provenivano dalla mitologia minoica e greca così come i nomi delle stelle più luminose alcuni dei quali erano stati adottati successivamente da popolazioni arabe durante il medio-evo.
Nel 1927, su suggerimento dell' astronomo belga Eugène Joseph Delporte, l' Unione Astronomica Internazionale (IUA) che si occupa della nomenclatura dei corpi celesti, fissò i confini delle moderne 88 costellazioni che coprono interamente la sfera celeste e che possono essere univocamente individuate tramite coordinate astronomiche (ascensione retta e declinazione).
Le costellazioni visibili dall' emisfero boreale sono basate principalmente su quelle della tradizione dell' Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall' emisfero australe sono state invece battezzate in età illuministica ed i loro nomi sono spesso legati ad invenzioni del tempo, come l' Orologio o Microscopio. Alle dodici costellazioni che intersecano l'eclittica e che compongono lo zodiaco ne sono state aggiunte altre 26 (oggi sono 38) in primo luogo per riempire i buchi dei tracciati tolemaici (Tolomeo ne aveva elencate 36) e in secondo luogo per riempire i buchi dell'emisfero meridionale che gli esploratori europei, poterono osservare solo successivamente a seguito di viaggi esplorativi nell’ emisfero meridionale del pianeta.
Le stelle più luminose di una costellazione prendono il nome usando una lettera greca più il genitivo della costellazione in cui si trovano; questa nomenclatura, detta Nomenclatura di Bayer, viene utilizzata per tutte le costellazioni.
Ad esempio la stella più luminosa della costellazione del Toro “Aldebaran” viene denominata come α-Tauri. Un'altra nomenclatura adottata e detta Nomenclatura di Flamsteed che, a differenza di quella di Bayer, al posto della iniziale lettera greca, adotta invece una numerazione progressiva ricavata scansionando la costellazione da Ovest verso Est. Per cui α-Tauri (Bayer) diventa 87-Tauri (Flamsteed) . Per ognuna delle 52 costellazioni nomenclate da Flamsteed , la numerazione ricomincia sempre da 1. Un'altra numerazione che utilizza il genitivo della costellazione è la nomenclatura delle stelle variabili, che procede assegnando lettere, come per RR Lyrae. Le stelle meno luminose seguono altre numerazioni progressive, senza seguire però la divisione in costellazioni.
Nell’ astronomia moderna le costellazioni non anno alcun interesse scientifico, se non quello meramente storico. Ciò è dovuto principalmente a 2 motivi. Il primo è che le stelle che formano una stessa costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e le luminosità apparenti ed assolute. Il secondo motivo è che due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono magari lontanissime ed appartenenti a costellazioni diverse, possono essere al contrario separate da distanze inferiori a quelle che le separano le stelle della propria costellazione.
Lista delle 88 Costellazioni IAU
Costellazioni visibili in Inverno nell' emisfero Boreale
| Nome Italiano | Nome Latino | Abbr | Area (°Rad) | % cielo | A.R.(h.m.) | Dec(°) | Interamente visibile | Class.ordine grandezza | N.stelle Mag<3 | N.stelle Mag<65 | Stella Principale |
|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
| Auriga | Auriga | Aur | 657.4 | 1.59% | 06 04 | +42 01 | 90°N - 34°S | 21 | 4 | 152 | Capella |
| Giraffa | Camelopardalis | Cam | 756.8 | 1.83% | 08 51 | +69 22 | 90°N - 3°S | 18 | 0 | 152 | Camelopardalis |
| Cancro | Cancer | Cnc | 505.9 | 1.00% | 21 02 | -18 01 | 90°N - 57°S | 31 | 0 | 104 | Tarf |
| Cane Minore | Canis Minor | CMi | 183.4 | 2.57% | 13 04 | -47 20 | 89°N - 77°S | 70 | 2 | 47 | Procyon |
| Gemelli | Gemini | Gem | 513.8 | 1.25% | 07 04 | +22 36 | 90°N - 55°S | 30 | 4 | 119 | Pollux |
| Lince | Lynx | Lyn | 545.4 | 1.32% | 07 59 | +47 28 | 90°N - 28°S | 28 | 0 | 97 | Elvashak |
| Unicorno | Monoceros | Mon | 481.6 | 1.17% | 07 03 | +00 16 | 78°N - 78°S | 35 | 0 | 138 | Monocerotis |
| Orione | Orion | Ori | 594.1 | 1.44% | 05 34 | +05 56 | 79°N - 67°S | 26 | 6 | 204 | Rigel |
| Perseo | Perseus | Per | 615 | 1.49% | 03 10 | +45 00 | 90°N - 31°S | 24 | 5 | 158 | Mirphak |
| Toro | Taurus | Tau | 797.2 | 1.93% | 04 42 | +14 52 | 88°N - 58°S | 17 | 3 | 223 | Aldebaran |
| Pesce Volante | Volans | Vol | 141.4 | 0.34% | 07 47 | -69 48 | 14°N - 90°S | 76 | 0 | 31 | Volantis |
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Osservare ad occhio nudo
Strumenti di osservazione
Fino all'inizio del XVII secolo, le osservazioni del cielo venivano fatte ad occhio nudo. Le osservazioni astronomiche si limitavano a mappare, con la maggior precisione possibile, le posizioni dei corpi celesti (stelle, costellazioni ed alcuni pianeti) nei vari periodi del giorno del mese e dell’ anno.L’ occhio umano ha però delle grandi limitazioni nell’ osservazione del cielo:
- Permette di stimare la distanza di oggetti vicini, ma non quella degli oggetti lontani come stelle e/o pianeti che appaiono tutti alla stessa distanza.
- Anche gli oggetti più luminosi, posti a notevoli distanze, non vengono più rilevati mentre quelli meno luminosi od opachi non vengono rilevati nemmeno a distanze relativamente minori.
Le nostre pupille variano il proprio diametro a seconda delle condizioni di illuminazione: di giorno hanno un diametro di circa 2 mm e di notte possono raggiungere i 7mm. Tale comportamento si spiega con la maggiore o minore necessità che ha l’ occhio di catturare la luce per ottimizzare la visione degli oggetti. E’ quindi opportuno, prima di iniziare le osservazioni notturne, restare almeno mezz’ora al buio per consentire alla pupille di allargarsi in modo tale da poter catturare più luce possibile. In condizioni ottimali di visibilità, le stelle osservabili ad occhio nudo sono circa 3000 per ogni emisfero, quindi dal nostro pianeta si possono osservare circa 6000 stelle appartenenti tutte alla nostra galassia: la Via Lattea. Le stelle visibili ad occhio nudo furono classificate dall' astronomo greco Tolomeo (anno 100 circa d.C.) con una scala di luminosità , detta magnitudine apparente, compresa tra 1 (per le stelle più luminose) e 6 (per quelle meno luminose). Più che le singole stelle, nella visione ad occhio nudo, è bello ammirare le molteplici combinazioni dette "asterismi o costellazioni" che esse formano nel cielo e un pò come le varie forme che talvolta assumono le nuvole, hanno scatenato la fantasia degli astronomi del passato che le anno identificate con animali, personaggi, oggetti ed altro ancora. Oggi l'Unione Astronomica Internazionale (IAU) divide il cielo in 88 costellazioni ufficiali con confini precisi, di modo che ogni punto della sfera celeste appartenga ad una ed una sola costellazione. Le costellazioni visibili dall' emisfero boreale sono basate principalmente su quelle della tradizione dell'Antica Grecia, e i loro nomi richiamano figure mitologiche come Pegaso o Ercole; quelle visibili dall' emisfero australe sono state invece battezzate in età illuministica ed i loro nomi sono spesso legati ad invenzioni del tempo, come l'Orologio o il Microscopio. Oltre alle stelle, nelle notti più buie, si possono anche intravedere la Galassia di Andromeda (emisfero nord) e le due Nubi di Magellano (emisfero sud) che appaiono però come piccoli e deboli aloni chiari nel cielo notturno.Oltre alle stelle, si possono osservare alcuni pianeti del nostro Sistema Solare che ordinati per luminosità decrescente sono: Venere, Giove, Saturno, Marte, Mercurio e Urano. Venere è anche l'astro più luminoso del cielo (dopo il Sole e la Luna) ma, come Mercurio, è visibile soltanto alle prime ore dell' alba e del tramonto, essendo pianeti interni e cioè si trovano tra la Terra e il Sole. Marte si distingue anche per il suo colore rosso-arancio, da cui la denominazione di "Pianeta Rosso". Sempre ad occhio nudo, talvolta, è possibile ammirare rare e splendide comete ed anche stelle cadenti che in certi periodi dell'anno si manifestano numerose dando vita ad uno spettacolo indimenticabile identificato comunemente come "pioggia di stelle cadenti".
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Limiti degli strumenti ottici
Strumenti di osservazione
Dal 1600 in poi l’ osservazione degli astri viene eseguita principalmente con strumenti ottici più o meno potenti. Essi consentono d’ ingrandire gli oggetti celesti visibili ad occhio nudo ed dai osservarne di nuovi;
quelli che l’ occhio umano non sarebbe mai stato in grado di scorgere. Dai primi rudimentali cannocchiali sino ai moderni telescopi spaziali vi è stato un susseguirsi di nuove scoperte e nuove invenzioni tecnologiche che hanno consentito di esplorare zone remote dell’ universo ed osservare cose che la mente umana non era nemmeno in grado di immaginare. Tuttavia anche i strumenti ottici hanno delle limitazioni che sono dovute principalmente al fenomeno dell’ aberrazione ottica che affligge lenti e specchi usati , in astronomia, per ingrandire gli oggetti celesti. Se i difetti formazione dell’immagine si formano sull’asse ottico si parla di aberrazioni assiali, altrimenti si parla di aberrazioni extra assiali. Ne esistono di diversi tipi, ma qui ricordiamo le aberrazioni più importanti:
ABERRAZIONE SFERICA - è dovuta al fatto che i raggi che incidono su una lente sferica (o su uno specchio)
nei pressi del suo centro ottico (raggi parassiali) vengono focalizzati più lontani rispetto a quelli marginali. L'esistenza di infiniti fuochi fra quelli marginali e parassiali provoca una sfocatura dell'immagine. Aumentando la lunghezza focale della lente o dello specchio, l'aberrazione diminuisce. Negli strumenti ha lenti l’aberrazione cromatica e di difficile correzione ed in pratica è sempre presente mentre negli specchi parabolici praticamente è trascurabile.
ABERRAZIONE CROMATICA - è dovuta al fatto che ogni vetro rifrange in modo diverso le diverse lunghezze
d'onda che compongono la luce incidente. Ad esempio, le lunghezze d'onda del blu vengono focalizzate prima di quelle del rosso e ciò crea un fastidioso alone iridescente sull'immagine. Gli specchi ne sono esenti, perché riflettono la luce e non la rifrangono. Per ridurre tale aberrazione si usano vetri a bassa dispersione (ED) e/o combinazioni di lenti concave e convesse: le prime, infatti, correggono l'aberrazione positiva e le ultime quella negativa.
COMA - Mentre le due aberrazioni precedenti si verificano lungo l'asse ottico (aberrazioni assiali), il coma si
presenta al fuori di esso (aberrazione extra-assiale). E' un'aberrazione simile a quella sferica, ma è dovuta alla diversa focalizzazione dei raggi paralleli che incidono obliquamente su una lente o su uno specchio. Ciò provoca una deformazione dell'immagine, che assume l'aspetto di una cometa (da qui il nome). Il coma è evidente soprattutto nei telescopi riflettori, e in particolar modo in prossimità del bordo del campo.
ASTIGMATISMO - Questa aberrazione extra-assiale può verificarsi anche in asse quando siamo di fronte ad
un obiettivo lavorato male. Trasforma una sorgente puntiforme in due linee oblique , l’astigmatismo infatti, si nota quando uno specchio (sferico o parabolico) mostra curvature diverse nelle diverse direzioni. Nei telescopi con ottiche di primo livello, l’astigmatismo si nota prevalentemente su aperture “modeste” e con telescopi a grandi campo, a differenza del coma infatti, l’astigmatismo è proporzionale al diametro dello strumento e al quadrato dell’inclinazione dei raggi ed è dovuto alla diversa distanza a cui focalizzano soggetti perpendicolari all'obiettivo. Per la causa sopra descritta attraversando la posizione di fuoco dall' intra all' extra focale avremo un cambio di asse. Può esservi astigmatismo anche quando le ottiche risultano tensionate o pesantemente scollimate. E' un fenomeno passabile nell'osservazione visuale, molto meno in quella fotografica.
CURVATURA DI CAMPO - Uno strumento ottico è affetto da curvatura di campo quando la sua superficie
focale non è prettamente piana ma leggermente emisferica. Questo è un fenomeno intrinseco alla maggioranza degli schemi ottici dei telescopici e degli obiettivi in genere. Per ovviare a questo inconveniente le case costruttrici devono provvedere all’inserimento di un gruppo spianatore di campo lungo il cammino ottico. La curvatura di campo è avvertibile solo in fotografia e si presenta mostrando le immagini stellari sfuocate in prossimità del bordo nonostante che le stelle al centro del campo siano perfettamente a fuoco. Focheggiando a loro volta le immagini al bordo, andranno sfuocandosi le immagini al centro del campo.
DISTORSIONE - è dovuta dalla caratteristica del sistema ottico in uso, che avendo un certo spessore fisico
(variabile) si allontana dalla teoria della lente sottile. Fisicamente l'effetto è dovuto alla differente potenza d'ingrandimento delle varie parti del sistema ottico, che in genere varia radialmente rispetto all'asse ottico. Questo è un effetto elusivo, perché anche se l’immagine risulta essere nitida, la sua forma geometrica non è quella reale, rilasciando immagini a “cuscino” o a “barile”.
SEEING
La visibilità degli oggetti , da terra, dipende sensibilmente dalle condizioni climatiche dell’ atmosfera terrestre. A tale proposito è stato definito il seeing (vedendo in inglese) che è un indice del grado di agitazione o turbolenza atmosferica. Se il seeing presenta un buon valore, si possono ottenere immagini tranquille e pulite. La turbolenza atmosferica, infatti, limita il potere risolutivo dei telescopi. Vi sono diversi sistemi di calcolo del seeing che danno diverse gradazioni di visibilità astronomica. Di seguito viene riportata una ta.bella dei valori di seeing usata in Italia:
| 1 | Immagine ottima |
| 2 | Immagine buona |
| 3 | Immagine sufficiente |
| 4 | Immagine insufficiente |
| 5 | Immagine cattiva |
| 6 | Immagine pessima |
Ecco come appare una stella con diversi valori si seeing
Un' ultima considerazione riguarda l’ altitudine dal livello del mare in quanto salendo di quota la visibilità degli astri migliora poiché si riduce lo spessore dello strato atmosferico. Al di sopra dell’ atmosfera terrestre il senning è nullo ed è questo il motivo per il quale oggi vengono messi in orbita telescopi spaziali come Hubble che offrono una qualità delle immagini imparagonabile a quella che si può ottenere da postazioni terrestri.
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Accessori per telescopio
Strumenti di osservazione
In questa sezione ci occuperemo dei telescopi che normalmente vengono utilizzati da astronomi non professionisti ovvero astrofili, amatori ed appassionati in genere. Parliamo quindi di "piccoli" telescopi che hanno dimensioni ridotte che è possibile trasportare da un punto ad un' altro senza ricorrere ad
automezzi per trasporti speciali. Normalmente questi telescopi hanno un diametro dell' obiettivo che va dai 10 cm. ai 40 cm. anche se, ad onor del vero, ne sono stati costruiti alcuni con diametro di 100/120 cm. a costi ancora accessibili ai "comuni mortali" ed utilizzati da alcune associazioni astronomiche. Ovviamente al crescere del diametro dell' obiettivo, cresce il potere risolutivo ed esponenzialmente anche il costo dello strumento.
Per poter utilizzare agevolmente ed efficacemente un telescopio ad uso amatoriale, occorre equipaggiarlo con una serie di accessori che vedremo di seguito.
Innanzi tutto, i telescopi devono poter essere puntati con facilità verso qualsiasi punto del cielo. Inoltre, a causa della rotazione terrestre, occorre riposizionare continuamente lo strumento per permettere di mantenere a "fuoco" l' oggetto osservato per lungo tempo e ciò a maggior ragione se si si vogliono fotografare oggetti deboli, che richiedono esposizioni fotografiche molto lunghe. Per quanto detto i telescopi possono essere dotati di un movimento automatico che compensi il movimento apparente della sfera celeste. Per quanto detto fino ad ora, ne deriva che i telescopi devono essere dotati di opportune montature che permettono il movimento dello strumento attorno a due assi tra loro perpendicolari. Le principali montature attualmente usate sono sostanzialmente di due tipi, la prima detta equatoriale e l' altra altazimutale .
Nella montatura equatoriale, i due assi sono detti : asse polare e asse di declinazione. L'asse polare viene diretto parallelamente all'asse terrestre, mentre l'altro viene orientato sull'astro in esame. Una volta orientato correttamente l'asse di declinazione, per mantenere l'asse ottico del telescopio puntato sull'oggetto in esame, basta far ruotare il telescopio attorno all'asse polare con la stessa velocità di rotazione della Terra. Vi sono dispositivi a motore che eseguono questo compito e vengono denominati inseguitori. Normalmente per individuare la posizione di un astro, nella volta celeste, vengono fornite le coordinate equatoriali in quanto assolute e non dipendenti dalla posizione geografica dell’ osservatore. In particolare vengono fornite l’ ascensione retta (α) e la declinazione (δ).
- L' ascensione retta (α) di un astro è la distanza angolare tra il punto d'ariete e l'intersezione del suo cerchio orario con l'equatore celeste; si misura a partire dal punto d'ariete in senso antiorario in gradi (0°, 360°) o equivalentemente in ore ponendo 1h = 15°.
- La declinazione (δ) di un astro è la sua distanza angolare dall'equatore celeste (da -90° al polo sud, a +90° al polo nord).

Nella montatura altazimutale, un asse è orizzontale e l'altro è verticale, permettendo un movimento in altezza e in azimut (cioè parallelamente all'orizzonte). Questi telescopi hanno quindi bisogno di due movimenti per poter seguire le stelle, a differenza dei telescopi con montature equatoriali che hanno bisogno di un movimento soltanto. Le coordinate altazimutali (anche dette relative) avendo come punti di riferimento l’ orizzonte ed il meridiano locale, variano da punto a punto con il variare della posizione geografica dell’ osservatore. Sono definite da l' altezza (h) e l’ azimut (a).
- L' altezza (h) che è la distanza angolare dell'astro dall'orizzonte, e varia tra -90° e+90°.
- L' azimut (a) che rappresenta la distanza angolare tra il Nord e il piede dell'astro e corrisponde all’angolo tra il meridiano locale e il meridiano passante per l'astro. Viene misurata in senso orario, e varia tra 0° e 360°.
Il puntamento di un telescopio con montatura altazimutale risulta molto più complesso del puntamento di un telescopio equatoriale. Fortunatamente a partire dagli anni settanta lo sviluppo dell'informatica ha reso possibile la progettazione di montature altazimutali di precisione e grazie alla loro maggiore stabilità rispetto a quelle equatoriali è stata possibile la costruzione dei maggiori telescopi oggi a disposizione.
il puntamento di un telescopio su un determinato oggetto celeste, risulta molto complicato a causa dell’elevato ingrandimento con cui si osserva. Il campo visivo risulta notevolmente ristretto e l’ orientamento manuale è
pressoché impossibile. Per ovviare a questo inconveniente viene usato il cercatore. Si tratta di un piccolo cannocchiale, a basso ingrandimento, posto sullo stesso asse ottico dello strumento principale. Attraverso il cercatore si individua una ampia porzione di cielo in cui è presente l’oggetto da osservare, che potrà essere puntato con precisione all’intersezione della crociera di puntamento visualizzata dal cercatore. E’ un po’ come centrare un bersaglio con un fucile di precisione. Una volta puntato, se il cercatore è ben allineato, l’ oggetto si troverà al centro dell’ ottica principale del telescopio. Ovviamente per allineare perfettamente un cercatore con lo strumento principale, occorre eseguire alla lettera determinate procedure di allineamento che possono variare da modello a modello e che normalmente vengono fornite dal costruttore. Molti telescopi ormai consentono di evitare la ricerca manuale tramite l’ausilio dei cercatori automatici, spesso computerizzati e dotati di motore, montati alla sommità del treppiede subito sotto il tubo del telescopio.
La lente di Barlow è un aggiuntivo ottico telenegativo finalizzato a moltiplicare per un fattore predefinito la focale
originale del telescopio. Prende il nome dal suo ideatore, Peter Barlow. Questa lente ha l'aspetto di un tubetto la cui parte iniziale si inserisce nel porta-oculari del telescopio e la sua parte terminale ospita l'oculare. La maggior parte delle Barlow ha un fattore di moltiplicazione pari a 2x (ma ce ne sono da 1.7x fino a 5x ), quindi un telescopio cha ha una focale di 1000mm con l’aggiunta della Barlow diviene un 2000mm, per cui otterremmo, a parità di oculare, un ingrandimento doppio. La lente di Barlow è particolarmente indicata per telescopi rifrattori e riflettori che non hanno una elevata lunghezza focale e per funzionare correttamente, deve essere composta da più lenti, in genere da un doppietto acromatico altrimenti le aberrazioni, soprattutto il cromatismo residuo, danneggiano l’ immagine originaria.
Gli appassionati che non si accontentano della semplice osservazione visuale possono fotografare il cielo e gli oggetti celesti utilizzando il telescopio come un obiettivo fotografico. Nella fotografia astronomica, anche detta astrofotografia, regolando opportunamente i tempi di posa, si riescono ad ottenere immagini ad alta risoluzione con dovizia di particolari, cosa che la sola osservazione visuale non riesce ad ottenere.
L’ apparecchio fotografico consigliato per questa attività è una fotocamera reflex con ottiche intercambiabili; deve essere dotata di “posa B”, che tiene aperto l’otturatore tutto il tempo voluto. E’ consigliabile usare fotocamere manuali meccaniche, perché di più facile utilizzo e più affidabili alle basse temperature; per il loro funzionamento non hanno bisogno di pile. Sono necessari anche un anello T-2 e un adattatore fotografico per permettere l’innesto della fotocamera sul telescopio. Le due tecniche principali per la fotografia astronomica sono: fotografia a fuoco diretto e fotografia a fuoco indiretto (per proiezione di oculare). FOTOGRAFIA A FUOCO DIRETTO Questa tecnica si utilizza principalmente per fotografare oggetti poco luminosi o per avere un’immagine completa del Sole e della Luna: non permette ingrandimenti elevati. L’esecuzione è molto semplice: per mezzo di un anello T-2 si accoppia l’apparecchio fotografico all’adattatore fotografico che deve essere inserito nel porta oculari del telescopio. Dopo una accurata messa a fuoco e l’ottimizzazione dell’inquadratura, si è così pronti per scattare la fotografia. FOTOGRAFIA A FUOCO INDIRETTO E’ la tecnica ottimale per la fotografia di pianeti, stelle doppie e particolari di Sole e Luna. Offre degli ingrandimenti decisamente più elevati rispetto alla tecnica precedente. Tra il telescopio e la macchina fotografica viene interposto un oculare; in questo caso si utilizza l’adattatore fotografico per proiezione oculare. Difficilmente si otterranno risultati soddisfacenti con i primi scatti: l’esperienza acquisita con numerosi tentativi iniziali e con prove sui tempi di esposizione porterà a garantire una costanza di risultati.
L’occhio umano è capace di accumulare i segnali luminosi solo per un decimo di secondo. Per osservare sorgenti luminose deboli, come le stelle, è utile l’uso di particolari sensori, come speciali pellicole fotografiche o
dispositivi ad accoppiamento di carica, detti CCD (dall'inglese Charge-Coupled Device). Questi dispositivi oltre che in astronomia vengono usati anche nelle normali fotocamere. La camera CCD appare come una scatoletta con una piccola finestra trasparente, dentro la quale è posizionato il chip CCD. Questo consiste in un mosaico di celle composte di un materiale particolarmente sensibile alla luce: il silicio. Queste celle sono anche chiamate fotodiodi o “pixel” (dall’inglese “picture element” ossia “elemento dell’immagine”), hanno una forma quadrata e dimensioni di qualche millesimo di millimetro. I pixel sono perfettamente allineati in linee e colonne.Un CCD adatto ai telescopi è di forma quadrata e contiene circa 4.000 pixel per lato, per un totale di 8.000.000 pixel, il tutto contenuto in una piccola scatola che possiamo tenere tra due dita! Ciascun pixel del CCD converte la luce che incide su di esso in particelle chiamate elettroni (grazie alla sensibilità che hanno gli atomi di silicio verso la luce), che saranno tante di più quanto maggiore è questo segnale luminoso. Il CCD contiene dei dispositivi che contano
questi elettroni, pixel per pixel. Possiamo concludere che il CCD, basandosi su questi conteggi, determina quali sono i pixel maggiormente impressionati dalla luce (quelli sui quali sono stati contati più elettroni) e quali invece sono stati meno colpiti, fino ai casi estremi in cui il conteggio è stato nullo (in quei pixel che non hanno ricevuto luce durante tutto il tempo di posa).Questi risultati riprodotti in un monitor definiscono l’immagine. Una telecamera che adotta come sensore il CCD Una camera CCD Il CCD associa il numero 0 ai pixel nei quali non si è contato nessun elettrone e un numero tanto maggiore, quanto più grande è il numero di elettroni conteggiati in tutti gli altri pixel. Il monitor avrà quindi un’informazione distribuita su una griglia di circa 8.000.000 di elementi in ognuno dei quali il CCD ha associato un numero che va da 0 ad un certo numero limite, corrispondente al massimo segnale luminoso che può essere assorbito da un pixel. Il monitor assocerà il colore nero a tutti gli elementi corrispondenti al numero 0 e agli altri un colore grigio che sarà tanto più chiaro quanto più grande è il numero associato al conteggio del relativo pixel. Verrà riprodotta, nell’insieme, l’immagine osservata, in bianco e nero. Praticamente ogni pixel corrisponde ad un granulo della pellicola fotografica, solo che i granuli sono “spalmati” in maniera non uniforme nella pellicola, mentre i pixel sono perfettamente allineati in righe e colonne, dandoci così un’informazione più corretta dell’immagine osservata. Non solo, l’uso del CCD ci permette di rivedere le immagini riprese quasi istantaneamente (come nelle macchine fotografiche digitali o nelle telecamere), mentre per una pellicola fotografica occorre aspettare tutto il tempo necessario per le operazioni di sviluppo.I CCD vennero introdotti in campo astronomico a partire dagli anni ’80 e regalarono una qualità delle immagini e una comodità nel lavoro che permisero all’Astronomia di fare grandi passi in avanti. Un tempo di posa adatto allo studio delle sorgenti stellari è di qualche minuto, a seconda di quanto luminosa è la sorgente. Ovviamente per sorgenti più luminose è sufficiente un intervallo di posa corto, mentre per le sorgenti particolarmente deboli come le nebulose si può arrivare anche ad un’ora di posa in ogni caso il telescopio deve essere dotato di un inseguitore che consente di tenere l’ oggetto osservato sempre al centro dell’ obiettivo.Vediamo ora come è possibile riprodotte i colori delle immagini tramite un dispositivo CCD. In ogni colore vi sono molte sorgenti luminose che emettono una luce apparentemente bianca, ma che in realtà è il risultato della somma di tutti i colori, dal blu al rosso. Se questa luce attraversa uno speciale filtro di un particolare colore verranno bloccate tutte le componenti colorate ad eccezione di quella del colore relativo al filtro stesso. Possiamo infatti facilmente sperimentare la diversa apparenza che prende un oggetto se interponiamo tra noi e questo un vetro colorato (che funge approssimativamente da filtro); quello che vediamo sono solo le componenti luminose appartenenti al colore specifico del filtro, tutte le altre sono bloccate dal vetro. Per lo stesso motivo, se viene posto un filtro giallo davanti al CCD, quello che verrà conteggiato e tradotto in segnale video è la sola componente di luce gialla dell’oggetto.Quegli strumenti che usano un sensore CCD e che ci permettono di vedere l’immagine a colori usano un sistema a tre filtri, di colore blu, verde e rosso (mescolando opportunamente questi tre colori, possiamo ottenere anche tutti gli altri dello spettro). Dalla sovrapposizione delle tre immagini viste con i tre differenti filtri si ottiene l’immagine a colori. In Astronomia spesso i telescopi usano un sistema di filtri e CCD che permettono di vedere l’immagine a colori, allo scopo di rendere più evidenti i dettagli dell’oggetto osservato e per riprodurre un’immagine il più vicino possibile a quella che percepiremmo con il nostro occhio, se questo potesse accumulare segnale luminoso come un telescopio.
È possibile migliorare i dettagli delle immagini che vediamo utilizzando filtri definiti LPR (Light Pollution Reducers), introdotti per abbattere il più possibile le lunghezze d'onda tipiche delle lampade utilizzate per l'illuminazione pubblica. Per utilizzare un filtro è sufficiente avvitarlo all'oculare prima di infilarlo nel porta oculari (è necessario verificare che l'oculare acquistato sia provvisto di filettatura!).
Alcuni preferiscono ricorrere alla slitta portafiltri, che evita di dover scambiare i filtri per effettuare prove comparative sull'oggetto osservato; la slitta torna anche utile per la tecnica del blinking, che consiste nel mettere e togliere ripetutamente il filtro dall'oculare per rilevare la presenza di nebulose planetarie molto piccole e deboli e che normalmente rischiano di apparire come semplici stelle. Parliamo quindi di filtri interferenziali OIII (dove O-III sta per Ossigeno terzo, ossia l'ossigeno ionizzato 2 volte, - non 3 volte come si sarebbe portati a credere dal "III" - tipico delle nebulose planetarie a causa della forte emissione ultravioletta della nana bianca presente al suo interno), consigliati per strumenti con diametri a partire da 6 pollici (150mm) in su perché con diametri minori si perde troppo in luminosità. Sono detti interferenziali in quanto lasciano passare solamente determinate frequenze dello spettro luminoso, proprio quelle legate alle emissioni principali delle nebulose diffuse e della nebulose planetarie, bloccando tutte le lunghezze d'onda tipiche dell'inquinamento luminoso e delle stelle. Il risultato è quello di avere un fondo cielo nero, le nebulose molto contrastate e chiaroscuri più decisi. In altre parole, è un filtro nebulare particolarmente indicato per esaltare il contrasto delle nebulose planetarie e dei residui di supernova. In genere gli O-III sono molto costosi ed estremamente selettivi (una banda passante molto stretta). Si potrebbe optare per un filtro UHC che ha una banda passante più larga, lascia passare pressoché il 100% della radiazione sia delle righe O-III che della riga H-beta. Ricordarsi sempre che se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici). Un filtro CLS, decisamente meno costoso, blocca efficacemente le luci emesse dalle illuminazioni cittadine (a base di sodio e mercurio), mentre lascia passare le maggiori linee di emissione degli oggetti del cielo profondo; aumenta quindi la visibilità di tutti gli oggetti del cielo profondo, anche di quelli di natura stellare (galassie ed ammassi) e non solo delle nebulose. Potrebbe essere l'ideale per chi inizia; come per il precedente, se ne deve acquistare uno adatto al proprio oculare, ad esempio per il diametro 31,8mm (1,25 pollici) o 50,8mm (2 pollici). La stessa attenzione vale infine per un filtro azzurrino, con cui è possibile migliorare non solo la visione planetaria (ad esempio le bande di Giove), ma è altresì possibile esaltare i particolari delle galassie, altrimenti improponibili con la visione diretta. Se poi si desidera osservare la Luna, è meglio acquistare anche un filtro lunare che tagli almeno il 50% della luce riflessa, in modo da non affaticare la vista nell'osservazione dei particolari del nostro satellite. Per osservare il Sole è indispensabile l’ uso dei filtri solari che bloccano la maggior parte della luce solare per evitare danni agli occhi dell'osservatore. Di solito sono fatti da un vetro resistente che ritrasmette solo una piccola percentuale della luce totale. Sono utilizzati per l'osservazione e la fotografia del Sole, che viene visto come un disco di colore giallo-arancio. Con questi filtri applicati a un telescopio è possibile visualizzare i dettagli del Sole in modo diretto e sicuro, come le macchie solari e la granulazione della superficie. Un altro filtro utilizzato per l'osservazione solare è il filtro di idrogeno-alfa, che trasmette la linea spettrale H-alfa. Questi filtri possono visualizzare i brillamenti solari e le protuberanze, non visibili con i normali filtri solari.



















